Componendo un testo teatrale l'autore può simultaneamente o separatamente riferirsi a: tradizioni performative pre teatrali o extra teatrali (ad esempio riti funerari, esercitazioni retoriche, oratoria religiosa ecc); comportamenti performativi dell'individuo sociale; comportamenti performativi dell'attore; specifiche notazioni performative innestate o integrate nell'azione verbale del personaggio; Specularmente il testo può: trasporre accorgimenti e tecniche da arti performative; coniugare l'oralità degli autori a quella dei personaggi e dei loro eventuali modelli reali; attivare mimesi di comportamenti quotidiani o rituali; implicare azioni specifiche. Inoltre il testo, una volta ripreso al di là delle proprie destinazioni originarie, suscita performatività ulteriori. Nella storia dello spettacolo, il livello performativo del teatro: assimila e adatta alle esigenze dello svolgimento dialogico tradizioni performative precedentemente assestate; viene rigenerato da sviluppi scenico/rappresentativi; si irrigidisce in codici convenzionali; si rinnova integrando o sostituendo i codici convenzionali con criteri ispirati all'imitazione integrale delle realtà fenomeniche, oppure alla ricerca di inediti principi e modalità attoriali. Nel Novecento le ricerche e le teorizzazioni sull'identità del performer generano ulteriori modalità performative. Nelle aree dell'innovazione, il testo non viene più utilizzato come modello progettuale dello spettacolo, bensì come materiale fonico; come suggestione interiore, come repertorio di indizi, tracce, messaggi cifrati. Nella storia del teatro a base testuale, l'autore interagisce con le proprietà della performance e ne influenza fortemente gli sviluppi. In quest'ambito, infatti, i cambiamenti che interessano il livello degli oggetti da esprimere si riverberano al livello delle modalità espressive tanto che si può parlare di 'attori goldoniani', 'shakespeariani', 'pirandelliani' alludendo alle particolari reti di affinità che si stabiliscono fra interpreti e repertori drammatici. Nella storia dell'innovazione teatrale, il frequente prevalere di performatività autoreferenziali ha invece espulso il ruolo dell'autore drammatico dal processo compositivo. Non per questo la performance post drammatica ha rinunciato all'espressione verbale. Questo viene ricavato da testi precedentemente scritti, dalle improvvisazioni degli attori, da riscritture dei primi e delle seconde ad opera del regista o di drammaturghi interni all'ensemble. Il testo però rientra nel contesto drammaturgico in quanto esito consuntivo del processo teatrale dove la progressiva immissione di parole richiede un'opera di montaggio e gestione specifica del livello verbale della performance il cui risultato sono copioni usati all'interno della compagnia e talora scorporabili dall'insieme della performance. Storicamente, i rapporti tra testo drammatico e performance individuano alcune modalità ricorrenti che caratterizzano le diverse epoche del teatro. Nelle fasi di fondazione drammatica, quando i generi stabilizzano le proprie convenzione e caratteristiche formali, i testi veicolano e connettono linguaggi verbali e performativi desunti dal mondo sociale e dalla pratica del teatro. Attraverso riferimenti a modi di esprimersi quotidiani, rituali o artistici, l'apparato verbale implica infatti l'attivazione scenica di comportamenti e linee d'azione che confluiscono nella dimensione progettuale della composizione drammatica. Se i kommos della tragedia greca riprendono le formule dei riti funerari e la metrica dei canti lirici, la performance rituale e quella poetica precipitano nella performance tragica trascinate da tali input recitativi e musicali. Fra Settecento ed Ottocento, nel ridotto periodo del 'testocentrismo', il testo si impone come vertice gerarchico delle pratiche sceniche, non solo nelle valutazioni degli intellettuali e del mondo accademico - influenzate da sempre dalla tradizione aristotelica - ma anche al livello della realizzazione spettacolare. La sua stabilizzazione non è uniforme. Ad esempio in Italia persiste l'autonomia culturale e operativa delle comiche compagnie. Tuttavia passa generalmente l'idea che l'arte dell'attore consista nel rappresentare opere drammatiche preventive, e che il suo scopo essenziale sia interpretare testi letterari, non cooperare alla loro ideazione, fornendo suggerimenti, suggestioni e soprattutto un'incandescente materia performativa suscettibile di venire ripresa e modellata. L'elevazione gerarchica del testo non è frutto di battaglie culturali, ma segue la moltiplicazione dei teatri e l'esigenza di incrementare la produzione drammatica, che assume caratteri seriali. Per questo si afferma la cultura del pièce bien faite: mozione essenziale alla comprensione del 'testocentrismo' ottocentesco. L'Encyclopaedia Britannica definisce la pièce bien faite <<un certo tipo di commedia costruita in accordo ad alcuni principi strettamente tecnici, che dominarono le scene europee e statunitensi a partire dal XIX secolo e continuarono a far sentire la loro influenza fino al XX secolo>>. Il critico Francisque Sarcey osserva a tal proposito: <<Fra una pièce bien faite e un buon lavoro drammatico ce ne corre. Si possono in effetti fornire dei procedimenti per fare bene un dramma, sebbene, dopo tutto, la maniera di servirsene sia tutt'altro che immediata: il fatto è che la fattura non è che una questione di mestiere, e il mestiere si apprende più o meno, [ma quando bisogna creare, in una pièce] dei caratteri ben delineati, delle passioni profondamente studiate, degli intrecci arditi, allora si trova un elemento irriducibile a tutte le analisi, il genio, che inventa i procedimenti, oppure fa a meno di ogni procedimento>>. Il successo della drammaturgia francese e il valore assunto dai principi tecnici della composizione drammatica finirono però per sovrapporre la nozione di genio a quella di pièce bien faite. La pièce bien faite predeterminava la rappresentazione scenica nella misura in cui la sua fattura corrispondeva ai meccanismi dell'interpretazione attoriale e a quelli della sua ricezione da parte dello spettatore. La sua posizione gerarchica e il conseguente testocentrismo, derivavano da due spinte casuali strettamente connesse. In primo luogo, la teatralità transazionale dell'Ottocento implicava l'adesione a uno stesso corpus di convenzioni sceniche e culturali che consentisse di rappresentare in ogni lingua e paese le drammaturgie sfornate a getto continuo dai centri teatrali egemoni (Parigi e Londra perlopiù). Specularmente, proprio queste drammaturgie, venendo rapidamente edite, tradotte e diffuse, veicolavano e stabilizzavano principi compositivi e tipologie drammatiche (situazioni, caratteri, effetti, linguaggi). Schematizzando: le città con il maggior numero di teatri - che erano anche le città che facevano tendenza - suscitavano enormi quantità di testi, che, spinti e selezionati dal successo, infiltravano i vari teatri nazionali, imponendo generi, gusti, voghe. Il testocentrismo funzionale e seriale del pieno Ottocento viene messo in crisi dall'insorgere di drammaturgie culturalmente motivate che contraddicono il modello della pièce bien faite dispiegando forme di attrito e opposizione diversamente graduate. Ibsen accetta in parte la struttura narrativa della pièce bien faite combinandola però a tematiche che affossano i valori costitutivi della forma dramma; mentre, d'altra parte, Strindberg, Checov e Hauptmann rigettano in toto i procedimenti della drammaturgia seriale di matrice parigina per sperimentare modalità ispirate all'osservazione dei rapporti fra mondo sociale e psiche. Col diffondersi della conduzione registica si afferma una dinamica ancora una volta diversa. Non c'è la convenzionale ma compatta compenetrazione fra testo e performance che caratterizzava la dimensione commerciale della pièce bien faite, non ci sono drammaturghi che fecondano il teatro a partire dalla scrittura del testo, ma si delinea una struttura spettacolare a doppio binario. Da un lato la scrittura drammatica fonda forme e contenuti della narrazione, dall'altro, la scrittura scenica, compone in un insieme organico movimenti, colori, scene, costumi ecc., rivestendo, nei riguardi dello spettacolo, una responsabilità pari alla scrittura drammatica. Inizialmente la nozione di scrittura scenica definisce un linguaggio teatrale provvisto di caratteristiche proprie, ma comunque semantico e ispirato al modello della lingua parlata. Nelle prospettive della regia critica e interpretativa, il livello testuale e il livello performativo della rappresentazione appaiono entrambi costituiti da tipologie segniche, che, pur di diversa natura, rimandano a significati intellegibili e componibili da specifiche pratiche di scrittura che si implicano a vicenda poiché lo spettacolo realizzato contiene il livello testuale, mentre il testo registra l'ideazione di uno spettacolo virtuale che muove i personaggi facendoli parlare ed agire. Per il semplice fatto di venire pronunciate dagli attori, le parole mettono in relazione l'immediatezza della performance con il parlato mentale da cui erano affiorate durante la composizione del testo. Sostanzialmente la scrittura scenica è responsabile sia dello spettacolo che del testo che ne viene veicolato; non è un caso che i registi si pongono, in molti e significativi casi (Stanislavskuj, Strehler, Copeau, Villar) come paladini e custodi delle prerogative poetico/espressive degli autori. Tuttavia, per quanto la scrittura scenica si proponga di riscoprire ed esprimere i contenuti originari della scrittura drammatica, la sua enunciazione concettuale e la sua messa in pratica e il suo peculiare linguaggio indicano che gli autori dello spettacolo sono due. Il sistema del doppio binario sfocia negli anni Sessanta, nell'emancipazione estetica e processuale della scrittura scenica, che non richiede più di rapportarsi al parallelo termine di confronto della scrittura drammatica, ma compone direttamente l'evento performativo agendo sulla pagina bianca tridimensionale dello spazio teatrale. A pratiche registiche che compongono lo spettacolo per rappresentare il testo drammatico se ne affiancano altre che compongono spettacoli che utilizzano al proprio interno e senza attribuire loro una posizione gerarchica preminente, differenziati elementi testuali. Questi vengono definiti a monte dell'attività scenica oppure individuati in itinere, raccogliendo frasi improvvisate, suggerimenti estemporanei, montaggi fra fonti distinte ecc. Alle specializzazioni interpretative maturate nell'ambito del lavoro teatrale per il testo si vengono ad aggiungere inedite ricerche sull'attore, sullo spettatore e sull'evento spettacolare. Al termine del processo spettacolare il procedere di una scrittura scenica non condizionata da testi drammatici preventivi, sedimenta un livello verbale prodotto in itinere, che presuppone la contestuale presenza di un esito scenico a sua volta prodotto in itinere (consuntivo). E' infatti evidente che, qualora lo spettacolo risulti da una progettualità predeterminata e demiurgica, il processo consisterà esclusivamente nella realizzazione del progetto registico e non prevederà quegli essenziali momenti di indeterminatezza, libertà e ricerca collettiva che consentono il reperimento, la riscrittura e il montaggio di nuovi elementi testuali. Il processo testuale consuntivo si presta a venire integralmente riscritto. Da questa operazione possono tanto risultare materiali testuali di per sé indecifrabili e, cioè, capaci di suscitare, una volta sfilati dall'evento spettacolare, autonomi orizzonti di sento, che veri e propri testi drammatici consuntivi (come lo sono ad esempio quelli del Teatro delle Albe o della compagnia Sud Costa Occidentale di Emma Dante): Interazione tra drammaturgo e performer A differenza della testualità inscindibile dell'organismo scenico, i testi drammatici consuntivi, richiedono che il drammaturgo aggreghi scrittura e riscrittura degli elementi verbali via via emersi dal lavoro collettivo in modo da definire: i caratteri scenici dei singoli attori; le loro linee d'azione; le situazioni che ne risultano; le vicende (o i percorsi formativi) che, a loro volta, risultano dalla successione delle singole situazioni. D'altra parte lo svolgimento di questa operazione compositiva implica che le dinamiche di ricerca dei singoli attori e della compagnia si prefiggano, a loro volta, di definire gli stessi elementi (linee d'azione, caratteri scenici, situazioni, vicende). Così le pratiche di scrittura scenica rigenerano al loro interno quelle della scrittura drammatica che, in questo ambito, non vengono esercitate indipendentemente dalla vita materiale del teatro ma all'interno delle compagnie (come nelle fasi della fondazione teatrale). Sintetizzando la drammaturgia testuale scaturisce, nelle fasi della fondazione teatrale, da straordinarie compenetrazioni fra scrittura e realtà; su separa, nella fase di testocentrismo dominante, dalla vita materiale del teatro; si apre alle istanze tematiche scaturite dalla crisi dei modelli sociali, culturali e formali, quali il concetto stesso di dramma; condivide la responsabilità dello spettacolo con la scrittura scenica di matrice registica; viene superata e sommersa dalle pratiche della scrittura scenica radicale, divenuta sola padrona del campo; torna a riaffiorare dalle interazioni tra drammaturgo e compagnia, producendo testi ampiamente consuntivi che germinano all'interno di una scrittura scenica anch'essa parimenti consuntiva. La definizione fra lavoro teatrale per il testo e lavoro teatrale con il testo diventa meno significativa e pertinente poiché, in tal caso, la parola detta costituisce un linguaggio intrinseco e necessario a quello teatrale per il corpo e con il corpo, per le immagini e con le immagini. Qualcosa stride in queste contrapposizioni che, infatti, trattano il corpo e l'immagine come se l'uno o l'altra non fossero elementi organici e inscindibili della performance. In determinate condizioni anche la parola rappresenta lo stesso status. Se pensiamo ai procedimenti dei drammaturghi greci, di Shakespeare, di Molière, di Goldoni, dei Poeti di Compagnia vediamo come in queste modalità di lavoro, la composizione dello spettacolo coincida con la composizione del testo, e l'inizio del processo teatrale con la scelta dell'argomento. Questo già di per sé: si pone in una posizione di continuità o novità rispetto ai precedenti repertori di compagnia; punta su precise attrattive (tematiche, attoriali, spaziali, comunitarie); mobilita attori e luoghi; punta a specifici destinatari. C'è una seconda questione da affrontare: la presenza di un testo consuntivo, intrinsecamente unito al livello della performance, orienta i processi percettivi, disponendoli sul sotteso livello dei significati drammatici che la stessa performance ha formulato nel corso del suo farsi. I caratteri scenici, le situazioni, le vicende, calamitano infatti le impressioni dello spettatori verso nuclei di senso che si aggregano gli uni agli altri definendo una realtà teatrale, dove la realtà delle tematiche si sovrappone alla realtà degli attori e degli elementi della scena, ricevendo il dono della concretezza immediata e conferendo, in cambio, quello della trasparenza semantica. Diversamente, le dinamiche della scrittura scenica radicale, rifiutando sia il principio drammatico della finzione che quello semantico del rimando all'altro de sé, tendono a comunicare se stesse. Dice Mango: <<Lo spettacolo consiste [...] nella sua fattura. La dimensione scenica, infatti, non si dà come accompagnamento ad un'azione che la precede, ma come azione essa stessa, primaria e non referenziale. [...] Evidentemente un primo elemento da ripensare è proprio quello di azione, legati come siamo alla nozione aristotelica che la mette in relazione con la dimensione narrativa del testo letterario. L'azione scenica, invece, riguarda anzitutto, se non esclusivamente, quanto accade in scena. E' in questo senso che Bartolucci afferma che non rimanda ad altro che a sé stessa, che è primaria>>.