Singolare, quanto significativa, è la corrispondenza tra questi argomenti e quelli che troviamo esposti in quella sorta di "teoria della regia" che Pirandello propone in Questa sera si recita a soggetto. Hinkfuss rappresenta la caricatura parodica della figura del regista moderno: invadente, ossessivo, pervicacemente attaccato alla ambizione di conquistare la autorialità unica dell'opera d'arte teatrale. Il suo tentativo - a voler forzare la lettera di Pirandello - consiste nello scrivere scenicamente lo spettacolo. Niente testo, allora, ma anche un uso, per così dire, strumentale degli attori, che vengono agiti direttamente in scena dal tentativo, sempre destinato allo smacco, di raccontare "dal vivo" le disavventure della famiglia La Croce. Perché lo spettacolo abbia luogo, perché gli attori possano finalmente vivere veramente il personaggio, è necessario che Hinkfuss venga allontanato, che si tacciano le sue continue divagazioni, tese a dar lustro e spazio alle sue capacità di "scrittore" teatrale. La sua "espulsione" dal palcoscenico, però, come è noto, non coincide con la sua effettiva sparizione dal gioco del teatro, quanto con una sua, più prudente, ricollocazione. Se si è creata la giusta atmosfera, la giusta condizione di magia che rende verosimile la scena per il pubblico, ma anche - ed è più importante - per l'attore, è perché Hinkfuss è stato "a governar di nascosto tutti gli effetti di luce". Perché, in altre parole, si è dedicato a quella che è, nell'ottica di Pirandello, la vera, ed unica, dimensione creativa del regista: la scrittura di scena. Intesa come manipolazione dei materiali visivi del teatro in relazione ed in supporto - e, quindi, in dipendenza - con la scrittura poetico-letteraria e con quello d'attore. Considerata da questo punto di vista la scrittura scenica può apparire come la trascrizione, in un'accezione più moderna, della scenografia. I materiali che il regista si trova ad utilizzare sono quelli tradizionalmente scenografici, infatti, con l'eccezione della luce cui l'introduzione dell'elettricità a teatro fornisce nuove inedite possibilità, diverso, però, è l'uso che ne viene fatto e soprattutto diversa è la loro collocazione nei confronti dell'intero spettacolo. Lo sfondo visivo, l'ambiente si trasformano in scrittura, una scrittura che agisce - in modo più o meno esplicito, più o meno incisivo - come chiave d'accesso importantissima alla traduzione scenica del testo, in un gioco di scambi e di riflessi, che costituiscono la scrittura complessiva dello spettacolo e la sua conformazione drammatica. Un tipico esempio, in tal senso, è rappresentato dall'uso delle componenti scenico visuali nel Naturalismo, in un contesto, cioè, saldamente legato alla centralità del testo ed all'idea di uno spettacolo che è sempre e solo una messa in scena. Eppure, alla dimensione scenica, è affidato un ruolo di intervento nel tessuto drammatico che non può essere assolto da nessun altro elemento linguistico, per definire uno spazio autentico, in grado di sostenere ed accompagnare la credibilità del personaggio e dell'azione. L'insalata che Teresa Raquin pulisce nell'omonimo dramma di Zola è esemplare: l'oggetto funziona da catalizzatore della tensione drammatica, è un autonomo veicolo di senso. Consente di concentrare l'attenzione in maniera visiva, e quindi particolarmente pregnante, sullo squallore di un'esistenza quotidiana priva di slanci, di sogni, ma fatta di piccole, tristi incombenze, le quali non vengono raccontate, ma direttamente mostrate allo spettatore. Nell'estetica naturalista il ruolo scenico dell'oggetto andrà, progressivamente, ad assumere una funzione irrinunciabile. Anzitutto perché concorre a scrivere la autenticità dei luoghi (e qui non ci si potrà esimere dal citare i quarti di buoi di Icres e la fontana zampillante acqua di Cavalleria Rusticana negli allestimenti di Antoine), poi perché fornisce all'attore un appoggio concreto, immettendolo direttamente nel contesto scenico. L'oggetto, insomma, non sta lì per essere visto, ma per essere agito. E' soggetto di una scrittura, collabora alla definizione di un senso. D'altro canto la regia manifesta, sin dai suoi esordi, un'attenzione speciale per elementi dello spettacolo, quali luce e costumi, ritenuti fino a quel momento marginali e, soprattutto, privi di una loro specificità semantica. Tali, cioè, da stimolare percettivamente lo spettatore solo ad un livello superficiale ed epidermico. Si pensi, tanto per fare un esempio, alle toilettes delle attrici ottocentesche, destinate a sollecitare la meraviglia del pubblico senza alcun legame con la scrittura con gli altri elementi dello spettacolo. Ma si ricordi, allo stesso tempo, come un'attrice della levatura della Ristori ritenesse indispensabile, per la costruzione psicologica del personaggio, dotarlo, per prima cosa, di un abito. Il problema, allora, non è tanto che la regia riscatti fattori come il costume da un uso esclusivamente mondano, ma notare come li coinvolga nella scrittura complessiva dello spettacolo e con quale intenzione. Quando Craig pensa al costume, ad esempio, lo fa ipotizzando un legame analogico col personaggio. Vedere l'attore in scena è già capire chi è, prima ancora che parli o si muova. Non è un caso, allora, che sia il regista a dover disegnare i costumi, perché solo lavorandovi direttamente sopra sarà in grado di iscriverli nel meccanismo semantico più complessivo della scena.