E' un approccio alla regia, quello di Craig, profondamente rivoluzionario, che ne trasforma radicalmente i presupposti, determinando un modo di intendere il linguaggio teatrale lungo la cui direttrice si disporranno, negli anni, le ricerche di Reinhardt, Mejerchol'd, Piscator, segnalando con forza, già nella prima metà del Novecento, un'ipotesi di lavoro che vede nella scrittura scenica la chiave di volta della scrittura registica. E' possibile, così, ipotizzare una seconda linea di sviluppo della regia che si affianca a quella legata alla nozione di trasmissione e traduzione del testo letterario. Se la prima è una regia interpretativa, la seconda è una regia autonomamente creativa. Il che non significa che escluda il testo, ma che l'intervento registico è decisamente predominante. Il caso di uno spettacolo come Le cocu magnifique di Mejerchol'd può risultare esemplare. Punto di partenza, e non mera occasione, è il testo di Crommelynck, che viene conservato nella sua interezza, fornendo così il sostegno narrativo dell'azione, ma che è immesso dentro un tessuto spettacolare che lo risignifica radicalmente. La scelta stessa operata da Mejerchol'd è significativa. Le cocu magnifique è una farsa moderna, tutta giocata sulla struttura ad incastro degli avvenimenti e priva di implicazioni seconde, sia sul piano drammatico che dei contenuti. A Mejerchol'd interessa, quindi, come macchina in grado di produrre un'azione, che è, fondamentalmente, scenica. Su di un piano più strettamente drammaturgico, infatti, i personaggi sono ricondotti all'emploi, vengono cioè riferiti a tipologie fisse la cui matrice è nella Commedia dell'arte e la cui resa si traduce in modelli gestuali e comportamentali codificati. In tal modo lo schematismo dell'andamento narrativo subisce un'opera di ulteriore riduzione, schiacciando di fatto il motivo narrativo al livello della pura e semplice struttura. L'emploi rappresenta, per Mejerchol'd, il tramite per istituire la relazione tra attore e personaggio su di un piano formale, scenico e non psicologico. Ma l'elemento in cui si manifesta maggiormente l'autonomia della sfera registica è quello legato alla scena. Mejerchol'd che in quegli anni, dopo l'esperienza simbolista, si è avvicinato alle ricerche delle avanguardie sovietiche ed a quelle costruttiviste in particolare, sceglie un apparato scenografico (realizzato dalla Popova) del tutto particolare. Non una scenografia che disegni l'ambiente entro cui verrà accolta l'azione, ma una costruzione che intervenga direttamente nell'azione, che sia attiva essa stessa. La struttura in legno, fatta di passerelle, scale, scivoli, porte girevoli, eliche, dischi ruotanti è una vera e propria macchina che ricorda, per pure e stilizzate assonanze esteriori, il mulino in cui è ambientata la commedia. Su di essa agiscono direttamente gli attori, mettendone in moto le potenzialità dinamiche, Ma vale anche il principio inverso, vale a dire che gli attori agiscono la loro parte in un certo modo, fondamentalmente, per consentire alla struttura inerte di diventare attiva. Se l'attore anima la macchina è questa a sua volta, a determinare la partitura del movimento Il rapporto uomo-scena, dunque, sottolineato anche dalle tute da lavoro che sostituiscono i costumi di scena, determina una partitura assolutamente autonoma e sostanzialmente scenica che interferisce col piano narrativo, senza illustrarlo. La distinzione di scritture - fra dramma e scena - risulta dunque pienamente operativa. Lo spettacolo nasce come testo autonomo, messo, però, ancora a reagire con un materiale letterario che resta come termine di riferimento narrativo, come svolgimento nel tempo, anche quando se ne ridisegna la consistenza drammaturgica. In casi come quello di Mejerchol'd - ma il discorso vale per tutti quei registi che scelgono di accentuare l'autonomia della loro dimensione creativa - la scena assume un ruolo di scrittura in linea con gli assunti craighiani ma anche con molte delle pratiche che avranno luogo nella seconda metà del Novecento. La linea della "regia creativa" rappresenta, ai fini del nostro discorso, un ponte di straordinaria importanza nel passaggio dalla logica della messa in scena a quella della scrittura scenica, intesa come modello di costruzione teatrale. In essa, infatti, il regista riveste, senza tante remore il ruolo di autore, si qualifica come "scrittore" del suo spettacolo nell'accezione che ne dà Planchon, in quanto si assume la responsabilità drammaturgica della sua opera anche in presenza di un testo. La questione dell'autorialità del teatro, che già la regia interpretativa mette in gioco affiancando allo scrittore una seconda figura creativa, in questa particolare accezione della regia subisce uno spostamento tutto orientato sul termine scenico, creando i presupposti, sulla scia della teoria craighiana, per l'affermazione di una scrittura scenica completamente indipendente.