Fuga dal teatro L'uso decostruttivo della scrittura scenica può assumere, però, anche configurazioni diverse, altrettanto, se non addirittura più, radicali di quelle sin qui esposte. Ad entrare in gioco è, in questo caso, direttamente quella contaminazione dei linguaggi che caratterizza l'estetica degli anni Sessanta. Messa in discussione, allora, è proprio la configurazione dell'oggetto spettacolo, quei segni, cioè, che convenzionalmente ci fanno fare riferimento al teatro quale arte specifica. "Negli ultimi quindici anni come minimo - afferma al proposito Allan Kaprow - le arti si sono mescolate, e molti altri artisti vorrebbero sbarazzarsi dell'etichetta da cui sono contrassegnati". Nel 1959, proprio Kaprow aveva inaugurato tale tendenza dando luogo al primo happening, 18 happenings in six parts, tenuto alla Ruben Gallery di New York. Con l'happening il problema del linguaggio teatrale e delle scritture che lo connotano subisce un radicale ribaltamento. Il fenomeno è, linguisticamente, anomalo e non è certo scontato ricondurlo dentro l'ambito teatrale. Luogo e "professionalità" dei protagonisti, infatti, lo caratterizzano subito in relazione alle arti visive. La galleria non indica la scelta di uno spazio neutro, ma è indice di un contesto, di una cornice specifica, così come altrettanto caratterizzata è la provenienza dei protagonisti proprio dal contesto visuale. Eppure Miachel Kirby, il più importante storico e teorico del fenomeno, rifiuta di leggere l'happening come emergenza di un coté visivo e sottolinea con forza, invece, la sua pertinenza teatrale. "Gli happening - scrive - sono una nuova forma di teatro (proprio come il collage (e commedie), possono essere prodotti in modi diversi". Il problema, sembra dirci Kirby, non è tanto quanto e come l'happening sia riferibile ad una convenzione linguistica già codificata, ma comprendere che si tratta dell'affermazione di una modalità nuova di linguaggio che è riferibile al teatro nella misura in cui lo si consideri quale codice in trasformazione. La anomalia dell'happening, allora, non consiste tanto nella sua contestualizzazione al di fuori di un ambito professionalmente teatrale, quanto nella configurazione di un nuovo codice teatrale, un codice che è giocato tutto e solo, ed è questa la sua caratteristica dominante, sul piano della scrittura scenica. Ma che significato ha il termine in un simile contesto? Non si tratta, evidentemente, dello sviluppo e dell'autonomia creativa della componente scenica del teatro, ma di un soggetto artistico totalmente nuovo: è la scrittura del qui ed ora del teatro, di un evento, di un accadimento privato di ogni termine di riferimento referenziale. L'idea che la dimensione artistica del teatro si risolva tutta e solo nello spettacolo - che abbiamo visto caratterizzare l'ipotesi estetica dell'avanguardia - trova adesso una prima, evidente realizzazione formale. Lo spettacolo è una libera organizzazione di segni, centrata sull'azione, sul piano immediato (non riferito ad altro da sé, cioè) dell'accadimento scenico. E' quello che in altri termini viene chiamato un evento, termine programmaticamente utilizzato da Schechner in opposizione a quello di rappresentazione. Ma cosa significa preliminarmente che il teatro si riduce ad evento? Che manca un riferimento drammaturgico, certo, che non c'è un personaggio come sostanza psicologica (ma neanche simbolica) da interpretare, anche, ma non solo. Ciò che l'happening mette fuori gioco è la dimensione narrativo simbolica della scena, anche qualora essa venisse espressa sul piano del registro visuale. Il teatro dell'happening non è teatro visuale, scena che racconta, ma semplice montaggio di frammenti asemantici di azioni reali. Di singoli nuclei comportamentali che non hanno pretese di giustapporsi tra loro in un orizzonte di produzione di senso. Che, detto in altri termini, non significano niente. Non si tratta, dunque, solo della codificazione di un nuovo ordine grammaticale (visivo e non più narrativo) del linguaggio teatrale, ma della decodificazione, della decostruzione dell'assunto che si vuole alla base di ogni forma espressiva: la trasmissione di un senso. La scrittura scenica dell'happening viene usata proprio con l'obiettivo di mettere in scacco tale assunto, nella convinzione che il linguaggio del teatro si può risolvere nel puro accadere, nella pura flagranza di un evento che non ha ragioni altre al di fuori del suo stesso accadere. La concentrazione dell'attenzione solo sulla condizione estemporanea dell'evento non comporta, però, che esso non abbia elementi di costruzione forti e sono proprio questi a definirne la natura teatrale. Kirby ne individua cinque, con la precisa intenzione di sgombrare il campo dall'idea che l'happening sia qualcosa di improvvisato ed accidentale. 1) Il primo, di tali elementi, è quello che lo riconnette ad una dimensione visiva e non verbale. A significare che il principio costruttivo dell'azione è immediatamente scenico e non trasposto da un contesto letterario. Il testo esiste, nell'happening, ma si tratta di un progetto scenico, detto in termini più tradizionali di una lunga didascalia che prescrive i compiti che gli attori dovranno assolvere. Si tratta, cioè, di un testo visuale. 2) In secondo luogo, continua Kirby, l'happening ha una struttura a compartimenti, "basata sulla collocazione e sulla contiguità di unità teatrali completamente autonome ed ermetiche", non dispone secondo un regime di causa effetto. Il prima e il dopo nella disposizione delle azioni è puramente formale, non presuppone, cioè, nessun collegamento teso alla produzione di un senso narrativo. 3) Terzo elemento è l'indeterminazione, termine che Kirby usa in opposizione ad improvvisazione. Il copione, infatti, prescrive l'azione, o meglio il compito da assolvere, ma non specifica le modalità attraverso cui andrà realizzato. Non predetermina, cioè, i tempi e i modi in cui l'azione si invererà in scena. L'attore è libero, in questa direzione, a condizione, però, che la sua non sia una "interpretazione", ma una semplice "esecuzione" del compito assegnatogli. 4) Caratteristica irrinunciabile dell'happening è, infatti, per Kirby quella di esser privo di matrice, di non introdurre, cioè, a nessun orizzonte possibile, seppur vago, di simulazione. L'azione senza matrice è quella che interagisce col qui ed ora del momento senza implicazioni ulteriori (mentre questo non accade nel teatro più tradizionale, dove anche il gesto più semplice è coinvolto in un orizzonte, in una matrice teso a significarlo: perché lo fa, chi rappresenta mentre lo fa, con quale stato d'animo ecc.) 5) Ultimo elemento è quello che vuole una sostanziale indistinzione tra attore ed oggetto, che risultano essere entrambi, ad un tempo, cose della scena e protagonisti dell'azione Si tratta di cinque elementi attraverso cui Kirby vuole circoscrivere l'ambito di pertinenza dell'happening. A noi interessa farvi riferimento perché individuano, con grande chiarezza, una dimensione decostruttiva nell'uso della scrittura scenica. Il linguaggio visuale dell'happening, infatti, si qualifica come linguaggio che sottrae al segno la sua qualità referenziale: l'attore è un interprete negato , l'azione un racconto mancante, la forma stessa dell'evento non si relaziona ad alcun reale possibile, se non nei termini di una assunzione asemantica. Un'assunzione cioè, che rifiuta la rappresentazione, venendo la realtà prelevata direttamente come citazione, secondo un procedimento di ascendenza duchampiana e cubista (non a caso Kirby fa riferimento al collage).