La funzione destabilizzante della scrittura dell'happening, la sua matrice decostruttiva è messa in particolare risalto da De Marinis, quando questi - a specificarne meglio l'orizzonte formale - introduce un ulteriore attributo a quelli elencati da Kirby: la decostruzione dello spazio e del tempo. La scrittura del qui ed ora dell'evento sarebbe, insomma, anch'essa oggetto di un processo di messa in crisi. Lo spazio e il tempo, così come li conosce la tradizione teatrale, infatti, vengono disarticolati fino a perdere la loro identità specifica. Diventano, cioè, uno spazio ed un tempo veri, tanto quelli dello spazio e del tempo quotidiani. E allora: una volta che è dato come frammento di realtà che accade di fronte, o più spesso in mezzo, ad un gruppo di spettatori, cosa distingue l'happening da un qualsiasi altro momento della vita reale? Il processo di decostruzione si sposta dal piano formale (in che modo organizzare il linguaggio e secondo quali principi) ad uno sostanziale: la linea di demarcazione tra l'estetico e l'esistenziale, tra le forme dell'arte e quelle del reale. Afferma, al proposito, Tedeusz Kantor: "Quindi la questione: "è già arte?" o "non è ancora vita?" non ha più senso per me. L'happening, che in quegli anni il regista polacco va sperimentando come elemento di contaminazione tra pratica della pittura e pratica della scena, gli offre lo strumento ideale per una scrittura di confine, dove risulta difficilmente distinguibile la linea di demarcazione tra reale/reale o reale/artistico. L'opera di decostruzione , dunque, investe progressivamente la consistenza drammaturgica del teatro, la sua dimensione di finzione e persino la sua individuazione come fatto estetico. Estremamente significativo, da questo punto di vista è che Schechner, nei Sei assiomi per l'Environmental Theatre, introduca gli avvenimenti pubblici e le dimostrazioni di piazza quali esempi possibili di teatro. Se ad un estremo del suo schema di riferimento vi è il teatro come cerimoniale di una rappresentazione fittizia, all'estremo opposto vi è la cerimonialità dell'avvenimento pubblico in cui, come avviene negli antecedenti rituali, attori e spettatori fanno parte di un unico, inscindibile, nucleo comunitario. (E' singolare come una simile disposizione dello specifico teatrale dentro uno schema di rapporti che esulano dalla dimensione estetica tradizionalmente intesa, faccia tornare alla mente un'altra, precedente, disposizione del fatto teatrale come termine medio di eventi pseudo ed oltre teatrali. Si tratta dello schema disegnato da Oscar Schlemmer in Uomo E Figura Artistica e pubblicato sul numero della rivista del Bauhaus dedicato al teatro nel 1925. Nel caso dello schema di Schlemmer sui fronti opposti vi sarebbero il rito e lo spettacolo popolare che, progressivamente, mutando le loro connotazioni originali convergono verso il luogo mediano del teatro). La manifestazione politica è letta da Schechner in termini teatrali, in quanto interviene attivamente su di uno spazio e su di un tempo trasformandoli, ponendoli in una condizione eccezionale. Non, però, grazie ad un segno estetico, ma grazie all'investimento di vissuto che l'azione politica comporta. La dimensione artistica della manifestazione di piazza non è espressa dal contenuto "artistico" degli elementi che la compongono, ma da un uso dello spazio e del tempo in termini straniati. Da un approccio duchampiano al reale. "Come nell'happening - scrive Kantor a suggerire, in un contesto totalmente diverso, un approccio linguistico analogo - prendo la realtà già fatta (ready made), i fenomeni e gli oggetti più elementari, quelli che costituiscono la "massa" e l'"impasto" della vita quotidiana, li utilizzo, mi destreggio tra essi, gli sottraggo la funzione e la finalità, li disloco e li dilato lasciando che conducano un'esistenza autonoma, che si estendano e si sviluppino liberamente e senza scopo". La scrittura scenica, in tal caso, viene assunta come scrittura di avvenimenti reali, come montaggio di segmenti di "verità" concreta, tangibile. Rappresenta, in quanto appropriazione dunchampiana del reale, un territorio di confine tra spazio del vissuto e spazio dell'estetico. (Nel suo schema di riferimento Schechner pone ai due estremi la convenzione teatrale tradizionale e le manifestazioni di piazza, in una zona intermedia tutti quei fenomeni che mettono in discussione lo statuto referenziale e rappresentativo del fatto teatrale: happening, event, enviromental theatre). L'happening, dunque, ci introduce ad una pratica del linguaggio che decostruisce la pertinenza del fatto artistico in quanto fatto separato, privilegiando la scrittura di scena come forma sensibile dell'evento. "Quasi tutti i miei ultimi events consistono nel realizzare un qualcosa che verrà subito abbandonata" dichiara Kaprow, e ricorda una serie di happening in cui ad esser messa in discussione è proprio la dimensione estetica, la natura di "opera d'arte" dell'avvenimento. "Recentemente, per esempio, abbiamo imbandito una tavola in una zona delle paludi del Jersey prossima ad un'autostrada frequentatissima", era un banchetto completo abbandonato per strada e che, chiunque volesse, potesse servirsi. L'atto teatrale si risolveva, così. nel predisporre le condizioni di un avvenimento possibile, che non solo non veniva mostrato ad un pubblico, ma neanche indicato quale fatto estetico. Era qualcosa lasciato lì che potesse accadere, "un fatto sospeso in bilico tra il non-del-tutto-arte e il non-del-tutto-vita". La scrittura artistica viene, in questo modo, condotta fino agli estremi di una frattura non più ricomponibile. Con un'intuizione che anticipa brillantemente tanti discorsi sull'annullamento della distanza spazio temporale resa possibile dalle strumentazioni tecnologiche (teatro in rete, simultaneità di avvenimenti in luoghi lontanissimi del pianeta) Kaprow forza ancora alla fine degli anni Sessanta, la nozione di opera e di spettacolo. "Visto che gli events erano già estesi nel tempo e nello spazio, mi è sembrato che non ci fosse ragione per non estenderli ancora di più". La funzione decostruttrice dello spazio-tempo, di cui parla De Marinis, è qui esposta con la più chiara evidenza possibile. L'event di Kaprow, in questo caso, infatti, avviene in luoghi distanti tra loro, sulla base di un programma comune e coordinato, ma sarà impossibile per chiunque, e addirittura per il suo autore stesso, riuscirlo a vedere nel suo complesso, come risultato unitario. Forzando lo spazio e il tempo oltre i limiti del percettibile si giunge sino alla soglia estrema della dissoluzione de fatto estetico. Se, nella tesi di Schencher, questo avveniva per contaminazione assoluta col piano del reale della cornice estetica, fino al limite stesso della sua percepibilità. Siamo di fronte, evidentemente, ad una frontiera estrema dell'universo linguistico avviato dalla pratica della scrittura scenica. Il termine stesso, col riferimento ad una scena, risulta inadeguato. E' più corretto parlare, in questo caso, di una scrittura del momento, della costruzione di avvenimenti posti al confine tra arte e vita, lì dove l'arte diventa fonte di liberazione, pratica di comportamento, prima ed oltre che realizzazione di prodotti, dove conta, cioè, più l'atto estetico (connesso alla vita) che non la realizzazione artistica di opere.