MESSA IN CRISI DEL RACCONTO: lo scollamento tra momento scenico e momento narrativo corrisponde a quella negazione del racconto che la letteratura sperimenta a partire da Joyce e che è particolarmente presente nelle ricerche drammaturgiche degli anni Cinquanta, fino a rappresentare uno dei temi centrali del cosiddetto teatro dell'assurdo. Il modo che hanno autori come Ionesco, Adamov e Beckett di intervenire sul piano narrativo della fabula drammatica, depotenziandola fino a creare una paralisi del racconto è un modo per affrontare il linguaggio con uno spirito metariflessivo. Il racconto smette di essere l'obiettivo ed il fine dell'operazione teatrale e si traduce, piuttosto, nell'occasione per rivelare i modi del linguaggio nel suo farsi fatto rappresentativo. Questa negazione del racconto è un tema comune a tutte le avanguardie: c'è nel teatro del Novecento un complessivo e generale processo di scollamento tra linguaggio teatrale e racconto che corrisponde a quella tendenza analitica che, anche nel teatro e non solo nelle arti figurative, si tende come una "linea" tra i due estremi del secolo. Il meccanismo di produzione di senso sembra essere il fulcro attorno cui ruota tutto l'atteggiamento della messa in crisi del racconto. E' un meccanismo diverso sia dalla logica teatro=parola che da quella di un teatro che si basa sulla sintesi delle arti o dei linguaggi. Nel primo caso, infatti, il testo letterario assolve al ruolo di conduttore privilegiato del senso, nel secondo caso, invece, la produzione di senso avviene direttamente attraverso la scena. In entrambi i casi presuppongono un'organizzazione coesa e aprioristica del senso. Che significa? A voler schematizzare, potremmo affermare che prima c'è un senso e poi un segno che si relaziona a quel senso e si sforza di renderlo esplicito e percepibile sul piano teatrale. In altri termini c'è un'intenzione dell'autore a voler "significare qualcosa", che cerca i tramiti linguistici più efficaci per esprimersi. Non ci riferiamo alla datata distinzione tra contenuto e forma, ma stiamo cercando di capire in che modo si disponga il meccanismo di significazione nel rapporto tra intenzione comunicativa e segno. Nei modelli che definiamo rappresentativi il linguaggio è sempre finalizzato a comunicare qualcosa e quindi la costruzione dello spettacolo è orientata a produrre un senso preciso. E' il caso dell'Amleto moscovita di Craig dove l'opposizione tra Spirito e Materia diventa il fulcro attorno cui è organizzata la costruzione dello spettacolo sia nel suo complesso che nei singoli elementi. Craig piega il linguaggio ad un destino comunicativo, adattandolo a produrre un significato preciso. Siamo in presenza di uno scollamento tra codice scenico e codice narrativo, nel senso che l'uno non si modella sull'altro, cosicché abbiamo due piani di enunciazione del senso. Possiamo quindi chiederci cosa significhino le diverse soluzioni sceniche proposte da Craig e come vadano considerate, se in relazione o in autonomia rispetto al testo di Shakespeare. Nella scrittura scenica lo scollamento tra fatto scenico e fatto drammatico è più radicale, in quanto non si tratta di sostituire a un senso narrativo drammatico uno scenico, quanto riconsiderare il meccanismo stesso della produzione di senso. Continuando a schematizzare, potremmo sostenere che nel modello di costruzione formale della scrittura scenica, il segno precede il senso, in quanto la sua presenza in scena non è determinata indirettamente dall'esigenza di trasmettere un significato drammatico preciso. Abbiamo detto che la prima condizione del segno, nel codice della scrittura scenica, è l'autoreferenzialità che, però, pur producendo uno scollamento tra segno e senso, non determina la cancellazione del meccanismo di produzione del senso, quanto una sua diversa articolazione: il segno precede e non succede al senso. Il che significa che non fa tanto riferimento ad un'interazione esplicita e chiara dell'autore, quanto ad una possibile strategia di lettura dello spettatore che valuta in maniera autonoma se attribuire un senso a ciò che vede. Il senso drammatico di uno spettacolo non è qualcosa che sta a monte della scrittura, ma, semmai, qualcosa di rilevabile solo a valle. In quanto "accade" e solo per questa ragione, lo spettacolo produce un senso, e non in quanto materializza un'intenzione creativa dell'autore. Quando Bartolucci scrive che bisogna partire dalla constatazione di quanto accade materialmente in scena o quando Kirby propone una critica descrittiva, lo scopo è mettere a punto una strategia di lettura che consenta di affrontare il codice linguistico della scrittura scenica tenendo conto di questa sua peculiarità. Leggere nell'andamento di quanto effettivamente accade in scena le linee di un possibile accadere del senso. I segni di uno spettacolo sono così un sistema da spiegare concettualmente ed il meccanismo di produzione di senso della scrittura scenica è una struttura aperta, perché non riconducibile ad un'intenzione unitaria e manifesta. E' un procedimento linguistico già brillantemente analizzato da Umberto Eco, in riferimento, soprattutto, alla musica contemporanea, alle ricerche visive ed alla televisione, in Opera Aperta. In quel libro Eco sottolinea come le pratiche avanguardistiche del Novecento traducano in processo di scrittura quella "infinitezza" dell'opera messa in luce dall'ermeneutica, lì dove si sostiene essere l'opera d'arte un meccanismo semiotico irriducibile alla sola intenzione dell'autore e necessariamente esposto ai processi di "riscrittura" della lettura. Eco sostiene ancora che nelle sperimentazioni contemporanee, tale condizione dell'opera, non è più limitata al processo della fruizione, ma diventa parte integrante e costitutiva del suo meccanismo di costruzione. L'opera è "aperta" in quanto i suoi segni sono dislocati in maniera non conchiusa, non stretti attorno ad un nucleo formale e semantico definito, risultando, piuttosto, come un'offerta all'integrazione necessaria del fruitore, cui è affidato il compito di un attraversamento libero, imprevedibile e contraddittorio della materia testuale, proprio perché affronta un tessuto formale non progettato per produrre significati ed affermazioni concettuali certe e univocamente decodificabili. In altre parole l'arte contemporanea agisce come produzione di significanti messi ad "interferire" tra loro in modo da costruire tante linee possibili del senso dell'opera. A proposito dei Finnegans Wake di Joyce: "Ogni avvenimento, ogni parola si trovano in una relazione possibile con tutti gli altri ed è dalla scelta semantica effettuata in presenza di un termine che dipende il modo di intendere tutti gli altri. Questo non significa che l'opera non abbia un senso: se Joyce vi introduce delle chiavi è proprio perché desidera che l'opera sia letta in un certo modo. Ma questo "senso" ha la ricchezza del cosmo" ed è un'affermazione che possiamo estendere alle pratiche del nuovo teatro, proprio perché individua con grande precisione le strategie di un linguaggio in cui i significanti "giocano" il linguaggio in direzione di una messa in scena della pura potenzialità di scrittura.