Nel linguaggio teatrale il meccanismo di produzione di senso è quantomeno complesso e contraddittorio. Ad esempio, quando Quadri si interroga sul "significato" di Einstein on the beach di Wilson dichiara: "La trama di Einstein on the beach mi sembra concentrarsi nel gioco di rapporti tra l'attore e lo spazio scenico" ed aggiunge: "Einstein on the beach è uno spettacolo su Einstein perché, oltre che col suono, ha a che fare ininterrottamente ed esclusivamente col problema dello spazio e col problema del tempo nel teatro". Considerazione significativa che testimonia come la trama complessa della scrittura scenica di Wilson non sia un montaggio arbitrario e gratuito di elementi difformi, ma, d'altro canto, non si risolva nemmeno in un racconto legato alla figura di Einstein. Il quale, come personaggio e come nucleo tematico, è ad un tempo presente ed assente nello spettacolo. Assente perché non ci sono indicazioni biografiche, né frammenti narrativi legati alla sua persona, né, diversamente, considerazioni simboliche legate al suo ruolo ed alla sua figura. Di Einstein non si parla; quasi che non sia altro che un pretesto circoscritto al titolo, ispirato a Wilson dalla visione di una vecchia foto in bianco e nero con lo scienziato in piedi su di una spiaggia. Einstein è presente come citazione diretta ed indiretta di sé stesso: pantaloni grigi, camicia bianca, bretelle, suona il violino, con tanto di parrucca scapigliata: è presente nelle figure che tracciano immaginarie formule matematiche su di una lavagna eccetera. Si tratta di citazioni e di presenze straniate che sarebbe vano ricondurre ad un significato e che non giustificano il titolo dell'opera. Guardando invece la costruzione dello spettacolo ci si accorge che l'obiettivo non è la figura di Einstein. Il problema non è cosa Wilson voglia dire con lo spettacolo, ma quale senso drammatico, quale condizione teatrale discenda dal montaggio e dall'accostamento di segni che sono distanti ed estranei l'uno dall'altro. Accostando segni ed elementi incongrui tra loro, pur non avendo un significato preciso sul piano della produzione di senso razionale, finiranno per dire qualcosa. Secondo quest'ottica, cosa dice Einstein on the beach? Quadri sostiene che "dice" il problema dello spazio e del tempo a teatro e si dispone sulla falsariga delle problematiche relativistiche einsteiniane. La scrittura teatrale nomina anzitutto sé stessa (autoreferenziale) ed è il tramite per interrogarsi sull'identità linguistica del teatro, in quanto dialettica di uno spazio e di un tempo attraverso l'azione fisica degli attori (dimensione metariflessiva). Vediamo gli elementi strutturali ed alcuni momenti specifici dello spettacolo che possono aiutarci per comprendere il meccanismo di funzionamento e di costruzione della scrittura. La struttura prevede quattro atti con cinque "siparietti" di giuntura. Nei singoli quadri che compongono gli atti ritornano tre elementi ricorrenti: il passaggio di un treno, una scena di tribunale e un campo dove atterra un'astronave. Ciascuno di questi elementi, che torna tre volte, subisce una trasformazione: il treno diventa un palazzo, il tribunale lascia il posto al letto che vi campeggiava al centro già all'inizio e l'astronave diventa una macchina del tempo. Lo spettacolo, quasi completamente privo di testo, affida la sua comunicazione alle immagini: è una serie di eventi in cui segni di tipo diverso interferiscono tra loro. Nella prima scena c'è un treno che attraversa il fondo da destra a sinistra, mentre una ragazza con i pantaloni e le bretelle cammina ritmicamente lungo una diagonale ed un bambino, in alto su di un traliccio, lancia aeroplanini di carta. Quando il treno è a metà strada del suo percorso, la scena è tagliata da un raggio di luce bianca ed improvvisamente cala il buio. Alla ripresa il treno ricomincia daccapo, la ragazza continua il suo ritmico andirivieni, ma interviene anche un uomo che, di spalle, inizia a scrivere nervosamente formule nell'aria, mentre la seconda ragazza vestita da Einstein entra leggendo il giornale. Su di uno schermo è proiettata l'immagine di un treno, vista dall'alto, che corre nella neve, mentre tre uomini entrano in scena reggendo le estremità di un triangolo che utilizzano come lente attraverso cui riquadrare la scena. La scena si conclude nuovamente col buio, non netto, ma dato come una lunga dissolvenza all'interno della quale il bambino che stava sul traliccio dolcemente scende galleggiando verso terra. A questo va aggiunto che l'azione si svolge tutta accompagnata dalla musica iterativa ed ipnotica di Philip Glass. Esaminata nel suo svolgimento, la lunga sequenza del primo atto, non presenta nessun elemento di coesione né sul piano narrativo né su quello simbolico. Sembra proprio che ogni segno vada per la sua strada, coi suoi riferimenti reconditi, come frammento di un mondo perduto che incontra gli altri segni ed interferisce con loro a formare il tessuto formale dello spettacolo. Il quale poggia su un sistema di significanti. Di ogni segno, cioè, emerge la sua flagranza di cosa che accade, di evento scenico, mentre i suoi possibili riflessi simbolico narrativi restano sostanzialmente celati. Lo spettatore segue così un'azione di cui non può cogliere alcun elemento stabile di codificazione né sul piano narrativo né su quello dei significati. E', quindi, portato ad affermare che lo spettacolo non significa niente. L'interpretazione di Quadri aiuta a posizionare meglio una simile affermazione: Einstein on the beach non ha un significato, ma dice ugualmente qualcosa: l'occupazione di un tempo ed uno spazio con un'azione. Ma noi possiamo aggiungere anche altro. Il gioco di combinazione tra diversi segni ed il loro piano semantico genera comunque una tessitura. Stimola comunque la nostra produzione di senso. I tanti Einstein moltiplicati. Il fatto stesso che lo spettacolo si apra e si chiuda con la figura raddoppiata in bianco e nero dello scienziato, che tali figure abitino come visitatori le diverse azioni dello spettacolo, che, infine, siano loro ad uscire dalle due cupole trasparenti dell'astronave, nel finale, mentre vengono proiettate immagini catastrofiche di esplosioni nucleari significa qualcosa. E' come un viaggio, un'avventura di Einstein dentro e fuori sé stesso, attraverso le sue memorie infantili, nell'immaginario della "musica matematica" del suo violino, nella teoria della relatività, ci sembra alludere il passaggio del treno, infine nelle prospettive catastrofiche che la scienza rischia di schiudere. E si potrebbe proseguire ricordando la paradossale apparizione di Patricia Hearst, la ricca ereditiera che ebbe una breve carriera di terrorista negli anni Settanta, nel corso del processo che vede protagonista uno degli Einstein, mentre altri stanno dalla parte del pubblico. Abbiamo, insomma, una griglia semantica che sembra sempre sul punto di svelarci il suo significato e, invece, lo tace. Non siamo in grado di imitare i segni spettacolari dentro significati o simboli definiti, ma dobbiamo fare riferimento a quello che potremmo definire un meccanismo di semiosi indefinita. I segni, cioè, producono significati possibili solo accennati, presto contraddetti o cancellati così che il significato che si produce è quello di una significazione impossibile, paradossale e contraddittoria. Il senso di uno spettacolo come Einstein on the beach si produce come uno scollamento tra ordine del linguaggio ed ordine della rappresentazione. E' un senso che non si può "dire", nel senso che non ha un'articolazione tale da consentirci di tradurlo in una formula razionale, eppure che colpisce ugualmente, su di un ordine di comunicazione diversa che tocca il nostro immaginario a livello inconscio. E' un senso che procede per discontinuità, che si dà e si nega facendo sì che dobbiamo prestare più attenzione alla dinamica dei segni (e del loro sviluppo) che ad una loro possibile sintesi concettuale attorno ad un nucleo tematico forte (che non sia quello della riflessione analitica attorno al rapporto tra tempo e spazio). Lo spettacolo è un testo plurale, infinitamente attraversabile dalla lettura dello spettatore eppure mai riducibile ad una esplicitazione razionale del suo contenuto. "Se lo spettacolo è un quadro vivente - scrive Quadri - risulta logica l'offerta allo spettatore in uno stesso tempo di una possibilità pluralistica di opzione, di combinazione o di interpretazione delle diverse immagini". Il meccanismo di produzione di senso, in Einstein on the beach, ha luogo, dunque, secondo una dinamica contraddittoria che procede per discontinuità. Ci sono segni diversi che interagendo tra loro determinano più una meccanica di senso possibile che un significato in senso stretto. Molto simile a quello che abbiamo riscontrato in Bene. Analizzando i meccanismi di costruzione delle sue rielaborazioni shakespeariane, infatti, abbiamo già avuto modo di rilevare come il rapporto tra testo e scena sia impostato secondo un meccanismo di interferenza tra piani semantici diversi. La strategia della paura del Macbeth ad esempio, è realizzata attraverso una serie di segnali che interferiscono sul piano narrativo, il quale, d'altronde, è sezionato fino ad essere ridotto ad un balbettio afasico, ad un livello di fonazione animale. Senza per questo però che la parola venga cancellata dalla scena, restando protagonista di un dramma poetico straniato rispetto all'azione e disarmato quanto ad esiti narrativi. Accade, così, che il livello di significazione dello spettacolo proceda per salti ed interferenze tra piani semantici e piani espressivi diversi. L'armatura, il letto, i grandi armadi, la pietra tombale strappata alle tavole del palcoscenico nel finale sono tanti segnali scenici indipendenti, ognuno dei quali indica una possibilità semantica diversa. Ognuno dei quali agisce indipendentemente dal testo determinando la disarticolazione e la decostruzione del testo stesso. In maniera analoga funzionano gli oggetti ed i corpi femminili nel Riccardo III. Elementi di distrazione, di inciampo che adesso ci servono ad individuare un procedimento di scrittura estremamente articolato e complesso, ma impostato in maniera tale da escludere programmaticamente dai suoi obiettivi quello di produrre un senso drammatico compiuto. Bene spesso parla del suo linguaggio come atto insurrezionale rispetto al principio d'ordine che sarebbe legato al teatro. Se la produzione di senso, come ordine del discorso è, sempre secondo Bene, legata alla regia ed alla sua attitudine all'interpretazione del testo, la scrittura scenica prima e la macchina attoriale poi spingono il linguaggio oltre il gioco dialettico tra significante e significato, facendo sì che il segno si leghi ad un processo semiotico irrituale. Che produce un significato instabile, sfuggente o quanto meno univocamente direzionato. Anche nel caso di Bene, dunque, per accedere alla comprensione dello spettacolo dobbiamo partire dalla rilevazione fenomenica di quanto vediamo. Difficilmente, però, potremmo giungere a conclusioni analoghe a quelle proposte da Quadri a proposito di Wilson, quando sostiene che il senso di molti suoi spettacoli è riconducibile alla dialettica tra un tempo ed uno spazio. C'è sempre, invece, un orientamento simbolico del linguaggio, in Bene, che crea una suggestione destinata ad essere vigorosamente contraddetta di modo che sia impossibile giungere alla codificazione di un senso lineare. Attraverso gli esempi di Wilson e Bene possiamo tentare una formalizzazione del codice della scrittura scenica, inteso come modello di costruzione dello spettacolo e non più come ipotesi di linguaggio. Il "sistema di segni" della scrittura scenica sembra caratterizzato dallo scollamento tra segno e significato, dall'indipendenza dei diversi piani del linguaggio e dalla disarticolazione della coesione narrativa dello spettacolo. Questo comporta un decentramento del senso e la moltiplicazione plurale dei centri espressivi, così che si determina un regime di costruzione caratterizzato dall'interferenza sia di segni particolari che di segni linguistici. Il principio di coesione che lega assieme i diversi piani di linguaggio non è più rappresentato dal montaggio logico discorsivo del racconto, ma da un montaggio che procede per discontinuità. Che non organizza, cioè, i singoli momenti dello spettacolo ed i singoli elementi linguistici, rispettando la coerenza di un progetto narrativo, ma, viceversa, si affida alla giustapposizione di materiali diversi. Il che non comporta una composizione accidentale né, necessariamente, l'azzeramento di qualsiasi principio di connessione tra i diversi elementi linguistici e le diverse parti dello spettacolo, solo che tale principio ha più una valenza formale che narrativa, ha come riferimento l'evento più di quanto non abbia la fabula. Il montaggio per discontinuità caratterizza la forma del testo spettacolare della scrittura scenica e ne rappresenta il meccanismo costruttivo, la logica di coerenza interna, qualcosa cui possiamo fin d'ora fare riferimento come drammaturgia scenica.