Per puntualizzare ulteriormente la posizione di Craig, torniamo su di un argomento già trattato: la distinzione tra le "parole scritte per essere lette" e le "parole scritte per essere dette". Si tratta sì di una distinzione di carattere letterario che però lascia intravedere una permanenza della materia letteraria anche quando questa non rappresenti più il "testo" dell'operazione teatrale. Senza approfondire la contraddittoria e labirintica teoria Craighiana, ci preme sottolineare che da tutto questo sembra emergere la distinzione tra drammaturgia e parola e la conseguente ridefinizione della nozione di testo. La centralità dei linguaggi della scena non sembra necessariamente postulare la cancellazione della parola e del verbale dall'orizzonte del teatro, ma intende distinguerli decisamente dal testo, inteso come partitura, principio di coesione e progetto del teatro. Il testo, ovvero la drammaturgia, di uno spettacolo sono rappresentati dall'organizzazione delle diverse scritture della scena in un progetto artistico di scrittura comune, al cui interno la parola assume il ruolo di interfaccia dialettico degli elementi visuali. Da questa angolazione va vista la posizione verso la "parola teatrale" e la drammaturgia nel teatro del secondo Novecento. Se abbiamo incontrato fin qui molti progetti di teatro che escludevano decisamente il verbale e la dialettica con un testo letterario preesistente, intendendo centrare l'attenzione tutta e solo sulla scena, al fine di trasformarla in un vero e proprio testo spettacolare, abbiamo anche affrontato autori la cui scrittura di scena, nella sua piena autonomia creativa, andava comunque a cimentarsi con un interfaccia letterario, senza nulla perdere della sua autorevolezza. Basta citare, accanto a Carmelo Bene, il caso di Grotowski, che non sfugge mai al confronto con un testo, o la memorabile Antigone del Living, per comprendere appieno la portata del fenomeno. E' chiaro che non possiamo risolvere la questione (come vorrebbe Kostelanetz) liquidandola con la giustapposizione netta tra esperienze teatrali che fanno riferimento ad un testo ed altre che lo rifiutano totalmente. E' una questione remota, che può essere fatta risalire all'affermazione stessa del concetto di regia. E' allora che la formulazione della doppia identità dell'autore teatrale porta ad istituire il rapporto col testo in chiave di variazione rispetto alla sua versione scenica originale. E' nella natura stessa della regia, infatti, pensare il rapporto col testo letterario in termini di riscrittura, anche quando l'intenzione è quella di affermare un'assoluta fedeltà all'originale. Fatto è che la trascrizione registica di una pièce teatrale, anche quando ne rispetta fedelmente la lettera, prevede un ampio margine di libertà per quanto riguarda l'ambientazione, la caratterizzazione complessiva e l'identità specifica dei personaggi. Questo significa che in ogni caso il testo viene profondamente modificato. Il teatro di regia ci ha talmente abituato ad una simile soluzione da tradurla in una norma che i pubblici sono pronti ad accettare senza tanti traumi. Il teatro della scrittura scenica sviluppa e porta a conseguenze estreme l'opera di disarticolazione drammaturgica del testo, coerentemente con quel processo di decostruzione che investe complessivamente l'opposizione teatrale ed il suo linguaggio. In che modo la presenza di un testo non riduce la portata eversiva della scrittura scenica, tornando a limitarla dentro l'ambito della messa in scena? Il materiale letterario non solo vede ridotta la sua vocazione drammaturgica attraverso il processo di riscrittura ambientale e del personaggio, ma viene sottoposto ad un intervento dirompente. Non è più riconoscibile quale originale. Diventa diverso anche sul piano della forma letteraria: viene tagliato, rimontato, sezionato, incastonato di incisi. E' un'altra cosa sotto tutti i punti di vista eppure è sempre sé stesso. Continua cioè a far riferimento al testo originale, ed ogni scrittura di scena è, in qualche modo, una riscrittura dell'originale. Non c'è Amleto, deformato o riscritto, che non sia Amleto. C'è in questo processo quell'attitudine alla citazione, al tradimento, al travestimento che caratterizza l'arte contemporanea e l'avanguardia in particolare, definendo un rapporto con la tradizione che è di continuità e di discontinuità allo stesso tempo. Se il teatro di regia tende ad offrire una nuova dimensione drammaturgica al testo letterario, con la scrittura scenica assistiamo all'affermazione di una drammaturgia che è totalmente distinta da quella letteraria, pur se da essa si origina, con essa si confronta e di essa ha bisogno. Abbiamo già analizzato il caso di Bene che rappresenta l'esempio più evidente di una scrittura che si fa drammaturgia a partire dalla scena, tradendo, ma non rinnegando, la dialettica con un testo-fonte. Facendo riferimento a concetti come "diaspora del senso" o "sradicamento del linguaggio" per individuare la tensione decostruttiva che scorre sotto il suo approccio al teatro ed alla sua scrittura, avevamo anche sottolineato come questo comportasse un processo disgregativo dell'impianto complessivo del linguaggio, che coinvolgeva, in primo luogo la componente letteraria, assunta come un territorio da attraversare e non come un testo da riscrivere registicamente. "Shakespeare! Marlowe! - scrive - un mare sconfinato che avendo tutto inghiottito, contiene tutto, anche il teatro. Perciò si può riscriverli intimamente, ma unicamente nell'irrappresentabile". Il testo letterario è negato alla messa in scena per trasformarsi in un luogo dell'immaginario dentro cui le scritture della scena, e quella dell'attore in particolare, vanno a sprofondare come in un abisso. Ciò che serve a Bene della letteratura drammatica non è il racconto, non è il personaggio come identità psicologica, come io; è una sorta di magma indistinto del tragico, di potenzialità di significazione che va al di là (negandolo) di ogni significato possibile. Il testo, anziché essere assunto come luogo di definizione, di specificità, di individuazione, è assunto come un "mare sconfinato", cioè come l'indistinto del dire, come potenzialità di ogni accadere simbolico, anche del teatro (come evento della scena) conclude Bene. Il testo conserva, all'interno dei diversi linguaggi che compongono la scrittura scenica una sua peculiarità. Diventa una sorta di luogo del cimento per la scrittura di scena, ma, al tempo stesso, perde di consistenza drammaturgica. La drammaturgia, la costruzione dell'azione si compie altrove, e precisamente nel momento in cui il teatro, direttamente come scena, assorbe la parola, la deglutisce, la coinvolge in una scrittura totale.