La drammaturgia come linguaggio plurale La drammaturgia però può essere presente nella scrittura scenica anche in forma diversa, in quanto creazione autonoma. Ruggero Bianchi, affrontando la questione a proposito del teatro americano d'avanguardia ne individuava i termini nella dialettica tra script e performance. Lo script è il materiale di programmazione dell'evento spettacolare, il progetto iniziale dello spettacolo. E' un materiale pre-testuale, qualcosa che, pur facendo capo alla scrittura di scena, da essa si distingue. Non va confuso con gli appunti preparatori di uno spettacolo di là da venire, ma ha già una propria identità, una specificità, una forma. E' in buona sostanza un testo anche se di natura tutta particolare. "A proposito di Foreman - scrive - va osservato anzitutto che i suoi pre-testi [...] sono di solito monologhi o dialoghi "non collocati", privi cioè di riferimenti a criteri più o meno tradizionali di intreccio o di personaggi e, addirittura, a precise situazioni di spazio e tempo". Sono dei condensati letterari e poetici, dei nuclei evocatori compatti, chiusi in sé stessi, ermetici su cui l'autore stesso deve intervenire perché assumano una forma teatrale che, nella veste originale, non hanno. E non solo perché non sono strutturati in dialogo ma perché manca loro una consistenza drammaturgica che possa tradursi immediatamente in azione. Non sono, cioè, predisposti per essere agiti, ma vanno riscritti integralmente. Diverso è il caso di Wilson. "Messi a confronto con quelli di Foreman - scrive Bianchi - gli scripts di Wilson paiono meno ricchi di riferimenti letterari e culturali", specificando in seguito che "per Wilson il vero script è costituito dai disegni, i bozzetti, le diapositive, i filmati, i diagrammi, lo schema delle luci e della colonna sonora". Il testo per Wilson cambia anche veste formale, risultando irriconoscibile a chi lo cercasse in una dimensione letteraria. Wilson costruisce - in particolare negli spettacoli degli anni Sessanta - un tessuto verbale, spesso in collaborazione con Christopher Knowles. Si tratta di un insieme magmatico, basato sulla libera associazione fonica e di pensiero, su una scrittura di stampo automatico (con quanto di eredità surrealista questo comporta) segnata in profondità dalla dislessia del coautore. E' una costruzione di suoni, più che un organizzazione del senso. Una produzione di materiali che non andranno a determinare, come è ancora nel caso di Foreman, quanto accade in scena. Parole, dunque, poesia, non testo. viceversa l'insieme dei disegni travalica la sola dimensione scenografica. E' il vero e proprio script, una drammaturgia d'immagine dove il tessuto dell'azione è tutto contenuto in potenza. E' qualcosa che sembra discendere direttamente dai disegni di Steps e dagli altri di Verso un nuovo teatro, che Craig pensava come altrettanti progetti di teatro immediatamente traducibili in atto. L'immaginario teatrale di Wilson è un immaginario visivo, così anche la sua drammaturgia fa riferimento all'immagine e non solo per costituire il quadro visivo, ma anche per disegnare il ritmo narrativo dell'azione ed il senso complessivo dello spettacolo. E' evidente, però, come l'immagine ferma del disegno sia solo potenzialmente teatro, suggerisca una drammaturgia ma non la esprima compiutamente. Qualsiasi forma assumano, esiste in queste esperienze di teatro qualcosa che potremmo ricondurre ad un testo, inteso quale materiale progettuale dello spettacolo. Sono entità formali dotate di una potenzialità di teatro che necessita di un forte intervento di drammatizzazione, per tradursi pienamente in atto. Lo script è un testo in assenza di drammaturgia che assume la sua forma attraverso un lavoro di montaggio che è il vero sforzo creativo dell'operazione teatrale. E' lì, infatti, che le scritture di scena danno vita alla forma drammatica dello spettacolo che non può essere tradotta nel linguaggio verbale se non attraverso un uso particolarmente esteso della didascalia. Sul piano formale il risultato è un testo che si dà come post-testo come testimonianza a posteriori di un testo dinamico e in divenire quale è quello scenico. E' un testo di trascrizione ma è anche il condensato di un impianto drammaturgico che diventa operativo solo quando la scena è agita direttamente da quell'attore, in quello spazio e quel tempo. Da questo punto di vista non possiamo non pensare alla scrittura di Beckett, agli Atti senza parole a Giorni Felici, la cui veste drammatica ricorda quella di una partitura musicale. Quello di Beckett è un testo tutto di drammaturgia, è un condensato di teatro, la sintesi di un'azione tutta e fondamentalmente scenica. E' quanto risulta in maniera particolarmente chiara nella sua produzione più tarda dove il "detto" del testo si risolve, spesso e volentieri, nel balbettio afasico del monologo mentre cresce esponenzialmente lo spazio lasciato alla didascalia. Beckett costruisce i suoi testi più tardi come un incastro di azioni agite entro cui interviene la parola ridotta a codice frammentato. Al di là dei meccanismi di decostruzione del senso ci preme sottolineare che Beckett finisce col progettare i suoi testi come vere e proprie scritture sceniche, risolte sulla pagina prima di quanto non lo siano sulla scena, ma a questa indissolubilmente legate. Il fatto che le percepiamo, e Brook per primo, come partiture più che come testi, nel senso più tradizionalmente letterario del termine, è testimoniato non solo dalla crescita delle indicazioni didascaliche ma anche dalla difficoltà che incontriamo nella lettura di tali testi. Se li affrontiamo senza sorvolare sulle indicazioni didascaliche, è talmente minuzioso Beckett da disorientare la nostra attenzione (un po' come ci capita quando ci confrontiamo con la trascrizione di uno spettacolo) e da farci sentire la mancanza della scena. Scriveva Craig che un testo autenticamente drammatico si riconosce da uno che è solo letterario perché nel primo caso alla lettura ci manca qualcosa, mentre nel secondo essa ci appaga. Nel primo caso il testo esiste per il teatro, nel secondo per la letteratura. I testi di Beckett corrispondono al primo caso, nascono come scrittura drammaturgica ma questa scrittura è già, intimamente, scenica. La novità più significativa di Beckett - ciò che lo distingue dalla maggior parte dei drammaturghi contemporanei - è questo senso della scena. Di una scena che è diventata già pienamente scrittura, creando un ponte significativo, quanto ancora tutto da studiare, tra lingua della parola e lingua della scena nel teatro novecentesco. Il problema della drammaturgia come costruzione che parte dalle istanze linguistiche della scena, non è un problema che possiamo circoscrivere nell'ambito delle avanguardie, am è esteso a tutte le scritture teatrali del Novecento. Il ripensamento dell'idea stessa di drammaturgia è una delle grandi scommesse che attraversano il secolo.