Lo schema interpretativo proposto da Ruggero Bianchi ci può essere utile per comprendere come la drammaturgia sia un'entità dinamica e fluttuante, nel nuovo teatro, il risultato di un processo di slittamento dal verbale allo scenico, dall'attorico al visivo. E' una risultante dialettica, il risultato di un processo più che la stesura a tavolino di un progetto di teatro. E' su presupposti analoghi analoghi che Eugenio Barba ha formulato un'ipotesi di scrittura teatrale che partendo dalla centralità dell'attore giunga a coinvolgere anche il momento drammaturgico. Non si tratta di una drammaturgia a priori ma è la risultante di una serie di scelte, di un lavoro compiuto dal regista assieme ai suoi attori sul motivo centrale attorno a cui ruota lo spettacolo. "Il lavoro di drammaturgia - scrive - non è soltanto quello sui testi o sulla storia che si vuole raccontare o mettere in visione per gli spettatori". Non bisogna confondere la drammaturgia con la letteratura teatrale. Per drammaturgia Barba intende quella strategia di costruzione che organizza i diversi linguaggi in un organismo narrativo e simbolico. E' un processo creativo che nasce all'interno del lavoro di gruppo nella dialettica tra il regista, che stimola drammaturgicamente gli attori fornendo loro trame, pretesti, occasioni di scrittura, personaggi e gli attori che gli rimandano un insieme di materiali disomogenei realizzati a partire da quegli stimoli, che il regista dovrà montare in un insieme organico, in uno schema narrativo oltre che visivo e scenico. E' un processo creativo composito, cui corrispondono tre diversi momenti drammaturgici: la drammaturgia organica e dinamica: vale a dire l'insieme delle azioni, delle motivazioni, delle immagini che disegnano la realtà scenica di uno spettacolo; la drammaturgia narrativa: che intreccia gli avvenimenti, i personaggi e orienta gli spettatori sul senso di ciò che stanno vedendo; la drammaturgia dei mutamenti di stato: quel filo sottile, quel tessuto immateriale che si istituisce nel rapporto con lo spettatore e che definisce un livello di significazione altro, sia rispetto a quel che si vede che a quanto si vuol rappresentare sul piano narrativo-metaforico. E' una sorta di drammaturgia dell'impermanenza, di scrittura virtuale, immateriale verrebbe da dire, che "accade" nel momento relazionale, nel coinvolgimento rituale di attore e spettatore in uno sforzo di sprofondamento abissale oltre i limiti della ragione e del "saputo". E' questa la drammaturgia che sta più a cuore a Barba, in quanto priva di regole e tecniche trasmissibili. Proprio per evitare tentazioni mistico-metafisiche, Barba sottolinea come i tre livelli drammaturgici vadano considerati come un unico organismo dialettico, di modo che quanto vi è ineffabile nella comunicazione teatrale debba fondarsi sugli aspetti più concreti e tecnici del linguaggio. Alla radice di tutto vi è la dinamica fisica e concreta della scena, quella particolare scrittura cui è affidata già una funzione drammaturgica, prima ancora che venga finalizzata ad una resa narrativa ed alla individuazione del personaggio. La scrittura scenica già una drammaturgia. Nel caso particolare dell'Odin questa fase particolare, importante e preziosa del lavoro si concentra attorno all'attore ed al suo essere qui ed ora, corpo e mente, in uno stato creativo che precede l'esito rappresentativo del singolo spettacolo. E' il momento pre-espressivo della creazione teatrale, basato sull'improvvisazione e sull'investigazione che l'attore fa del suo corpo, della sua voce, delle sue capacità associative e di immaginazione, creando materiali scenici, recitativi e drammaturgici che precedono l'applicazione delle singole scene ed ai singoli momenti dello spettacolo. E' la fase inaugurale di tutti gli spettacoli dell'Odin, a definire la quale concorrono in maniera decisiva la scelta dei personaggi, la loro caratterizzazione, le relazioni reciproche. Gli spettacoli dell'Odin possono prendere spunto da motivi drammatici più diversi, ma non hanno mai un testo predefinito, né interno né esterno al gruppo. La dimensione narrativa cresce col crescere del lavoro collettivo e così anche l'individuazione dei singoli personaggi. Il processo drammaturgico narrativo procede di pari passo con quello dinamico , è intimamente legato al lavoro di improvvisazione e di introspezione portato avanti dall'attore. La sua veste compiuta è frutto di una sintesi, il risultato di un processo in continua trasformazione che ha luogo durante le prove per stabilizzarsi quindi in una forma scenica definita. Il primo momento di tale processo consiste nella scelta di un nucleo tematico da cui partire ed in particolare con dei personaggi con cui gli attori si andranno a confrontare. "Ognuno di noi sceglie un personaggio come compagno di viaggio - annota Iben Nagel Rasmussen in una pagina del diario del 1974 - e parliamo un po'. Torgeir sceglie il nano del romanzo di Legerkvist, Reidar sceglie Ulisse, Odd sceglie Peer Gynt, Ragnar Giobbe, non mi ricordo cosa abbia scelto Else, Jens sceglie Don Juan, io scelgo il folletto Nijinskij". Questo tipo di procedimento non è limitato all'esperienza dello spettacolo di cui parla la Rasmussen, ma è una costante del lavoro creativo dell'Odin. Prima la scelta dei personaggi, poi inizia il lavoro di improvvisazione che tiene conto dei presupposti tematici forniti dal regista, dei limiti costituiti dal personaggio e di quant'altro impedisca all'improvvisazione di risolversi nel semplice rapporto tra espressività del corpo, oggetto e spazio. Dal punto di vista drammaturgico notiamo: la scelta di personaggi già codificati, di tipi drammatici, la loro appartenenza a diversi universi, l'assenza, in questa fase preliminare, di una linea di sviluppo narrativo prefissata. E' così che nascono alcuni tra i più interessanti spettacoli dell'Odin: le Ceneri di Brecht, il Vangelo di Oxyrinco, Talabot, Kaosmos, fino al più recente Mythos. Se drammaturgia dovrà esserci (e deve esserci), essa dovrà discendere direttamente da quel lavoro "in divenire" che il regista affronta con i suoi attori. "La costruzione della presenza, la creazione di comportamenti scenici attraverso l'improvvisazione o la composizione, la ripetizione, l'interpretazione del testo e del personaggio, l'elaborazione, le repliche dello spettacolo: ognuna di queste fasi ha una sua drammaturgia". annota Julia Varley, a commento della sua partecipazione a Mythos. Già la scelta dei personaggi è un fatto pienamente drammaturgico. Le donne inizialmente dovevano essere Medea, Cassandra e Smirne; poi quest'ultima sparisce. Accanto a loro Ulisse, Orfeo, Sisifo e il rivoluzionario sudamericano Guilhermino Barbosa. Già arrivare a circoscrivere questo insieme di figure, diverse per estrazione, è un processo complesso. Ulisse in un primo momento doveva chiamarsi Tersite, mentre Sisifo in origine era Prometeo, per trasformarsi poi nel Lucky di Aspettando Godot. Evidentemente anche la scelta dei personaggi rientra tra le scritture dello spettacolo. A volerci esprimere in termini metaforici, è come se il lavoro di ideazione e composizione che lo scrittore compie nella scena silenziosa della sua mente adesso fosse riflesso direttamente in teatro. Il racconto non precede la costruzione della scena, ma l'accompagna. Accanto all'offerta di personaggi Barba fa una seconda offerta, simultanea alla prima: offre uno spazio. Così "con i personaggi come riferimento gli attori cominciano ad improvvisare inoltrandosi nello spazio".