Parola teatrale e drammaturgia Per entrare più nel dettaglio nei meccanismi del costruire nella decostruzione partiamo dal concetto di rapporto col testo e con l'identità drammaturgica. Più volte ci è capitato di parlare dell'opposizione che la scrittura scenica istituisce con quella drammaturgica. Kostelanetz ne faceva addirittura il segno distintivo in grado di individuare il nuovo teatro. Già quando trattammo le sue tesi però, trovammo improprio sancire come peculiarità della scrittura scenica, l'assenza di un testo e ancora più improprio risulta postulare l'estraneità della scrittura scenica alla dimensione drammaturgica del linguaggio teatrale. La questione è più sottile e riguarda un diverso posizionamento nei confronti della materia letteraria e una sostanziale ridefinizione della nozione di drammaturgia. Nelle nostre abitudini culturali l'espressione drammaturgia è diventata quasi sinonimo di letteratura drammatica. Nell'etimo della parola ci parla il dramatos ergon, vale a dire il lavoro, la costruzione dell'azione. Qualcosa che indica il regime di costruzione che sottende la dinamica performativa dell'evento scenico. E' progetto e pensiero che precedono e determinano l'atto rappresentativo. La drammaturgia, allora, sarebbe, in origine, quell'elemento di progettazione che lega assieme evento performativo e produzione di senso; dato visivo, scenico e racconto. Va, dunque, considerata come elemento tutto interno alla produzione complessiva dello spettacolo, regime d'ordine del linguaggio e non sovrapposizione di un linguaggio altro, la letteratura, a quello specifico del teatro. Nella concezione originaria del termine, insomma, non è prevista l'opposizione tra pagina e scena, azione agita e racconto. Semmai c'è un'organizzazione complessiva del lavoro teatrale di cui l'elemento letterario rappresenta una componente essenziale, di sintesi, perché vi si concentra la dimensione autoriale dell'operazione. E' indiscutibile che nella tradizione occidentale il testo drammatico non si risolva in un pezzo di letteratura prestato occasionalmente al teatro, ma rappresenti il vero momento progettuale dell'operazione, la scrittura dello spettacolo nelle sue intenzioni drammaturgiche e costruttive. Il problema è che le avanguardie teatrali del Novecento negano il ruolo guida del testo letterario, sentendolo estraneo alla consistenza scenica del linguaggio. Se la comunicazione che la scrittura scenica propone si realizza per vie visive, allora anche la drammaturgia dovrà avere una dominante visiva. Già Craig nel suo dialogo del 1905 accompagnava l'affermazione scandalosa che teatro potesse darsi in assenza di testo con una specificazione illuminante: chi ha detto che il testo, in teatro, debba essere necessariamente una presenza letteraria? Testo è idea che si fa forma. L'elemento testo, secondo Craig, solo convenzionalmente e solo nella tradizione occidentale viene confinato entro un ambito, quello della letteratura teatrale, inidoneo ad accoglierlo poiché estraneo al teatro come linguaggio specifico. Se allora scena e voce saranno i materiali di cui si servirà l'artista del teatro dell'avvenire, è significativo come tali materiali non possano essere agiti, o addirittura improvvisati, nell'estemporaneità del momento, ma debbano essere ricondotti dentro un principio di costruzione aprioristico, dentro una drammaturgia. Non a caso Craig inizia il suo ragionamento facendo una distinzione tra drammaturgo e poeta drammatico, distinzione che risulta poco chiara se non teniamo conto delle questioni di cui stiamo parlando. Il poeta drammatico è il poeta che si dedica alla scrittura del teatro dall'esterno, sovrapponendo i codici della scena a quelli della letteratura. Risulta quindi estraneo, se non dannoso, all'affermazione di un'autonoma artisticità del teatro. Il drammaturgo discende, secondo Craig, direttamente dal danzatore. Il costruttore dello spettacolo è tale a partire dalla consapevolezza di un'arte del movimento, che è componente fondamentale della scrittura scenica. Il drammaturgo si distingue dal poeta drammatico in quanto l'uno è presente alla specificità del codice teatrale tanto quanto l'altro le è estraneo. La domanda che ci poniamo è: Craig allude alla semplice gradazione di attitudine di una medesima professione (scrittore teatrale) o allude ad altro? In prima battuta saremmo portati a pensare che la distinzione tra drammaturgo e poeta drammatico si risolva nella maggiore o minore capacità di adattarsi alle esigenze ed alle leggi della scena. Che non è altro la distinzione tra autori capaci ed autori incapaci. Le cose, però, non stanno in questi termini. La differenza tra drammaturgo e poeta drammatico è una distinzione di merito: il drammaturgo elabora una drammaturgia (un progetto di teatro) a partire dalla scrittura che agisce in scena e con la scena, dotando tali scritture di una propria rigorosa, formale struttura di costruzione. Il poeta drammatico, evidentemente, è colui che scrive l'azione solo nella pagina, solo, cioè, attraverso gli strumenti della letteratura e limita, quindi, il suo interesse per il teatro nell'ambito della parola.