Il dramma dell'età moderna è nato nel Rinascimento. L'audacia spirituale dell'uomo pervenuto a sé stesso dopo il crollo della concezione medievale del mondo, quella di costruire la realtà delle opere d'arte sulla riproduzione dei meri rapporto interumani. L'uomo entrava quindi nel dramma come membro della società umana. La sfera dei rapporti intersoggettivi gli appariva quella essenziale della sua esistenza; libertà e vincolo, volontà e decisione, come le sue determinazioni più importanti. L'atto della decisione era il "luogo" in cui l'essere umano giungeva alla sua realizzazione drammatica. Nella sua decisione di aprirsi al mondo degli altri, il suo intimo di manifestava e diveniva attualità drammatica. Tutto ciò che era al di là o al di qua dell'atto decisionale doveva rimanere estraneo al dramma. E soprattutto doveva rimanere estraneo al dramma ciò che è privo di espressione, il mondo delle cose, se non penetrava direttamente nel contesto interumano. Tutta la tematica drammatica si determinava tra i rapporti intersoggettivi: il conflitto tra passione e dovere. Il mezzo espressivo di questo mondo di rapporti inter soggettivi era il dialogo. Nel Rinascimento, dopo la soppressione del prologo, del coro e dell'epilogo, il dialogo divenne la sola componente del teatro drammatico. Per questo aspetto il dramma dell'età moderna si distingue sia dalla tragedia classica che dalla sacra rappresentazione medievale, sia dal teatro barocco che dalle storie di Shakespeare. L'assoluto predominio del dialogo rispecchia il fatto che il dramma consiste esclusivamente nella riproduzione del rapporto inter soggettivo e che esso ha per oggetto esclusivamente ciò che si manifesta in questa sfera. Tutto ciò mostra che il dramma è una dialettica conchiusa in sé stessa, ma libera, e che si determina di nuovo ad ogni momento. Il dramma è assoluto. Per poter essere puro rapporto deve essere staccato da tutto ciò che è esterno. Il dramma non conosce nulla al di fuori di sé. Il drammaturgo è assente dal dramma. Egli non parla; ha fondato ed istituito la comunicazione. Il dramma non è scritto, è "posto". Le parole dette nel dramma sono tutte "decisioni"; sono sviluppi della situazione e rimangono in essa; in nessun caso devono essere concepite come emananti direttamente dall'autore. Il dramma appartiene all'autore solo nel suo insieme, e questo rapporto non è essenziale alla sua realtà di opera. Lo spettatore assiste al dialogo drammatico in silenzio, paralizzato dalla vista di un secondo mondo. Ma la sua totale passività (sulla quale si basa l'esperienza drammatica) deve rovesciarsi in un'"attività" irrazionale; lo spettatore viene trascinato nel gioco drammatico, diventa egli stesso parlante attraverso tutti i personaggi. Il rapporto spettatore-dramma conosce solo la completa separazione o la completa identificazione, ma non l'intrusione dello spettatore nel dramma o il rivolgersi del dramma allo spettatore. Il palcoscenico del Rinascimento e del neoclassicismo, il tanto bistrattato palcoscenico "stereoscopico", che isolava lo spettatore dall'azione drammatica, è il solo palcoscenico adeguato al carattere di assolutezza del dramma. Questo tipo di palcoscenico ignora il collegamento del palcoscenico con la platea. La scena si disvela allo spettatore solo all'inizio dello spettacolo quando è stata detta la prima parola, e così gli appare come creata dall'azione drammatica stessa. Alla fine dell'atto, quando cala il sipario, essa si sottrae nuovamente allo sguardo dello spettatore, seguendo le sorti dell'azione drammatica momentaneamente sospesa e riconfermandosi quindi come esclusivamente appartenente a quella. Infine, la ribalta che illumina la scena crea l'illusione che l'azione drammatica si illumini da sé. Anche l'arte dell'attore è orientata, nel dramma, sull'assolutezza del dramma stesso. il rapporto attore-ruolo non deve mai essere visibile, anzi l'attore e il personaggio devono fondersi in un essere drammatico autonomo. L'assolutezza del dramma si può formulare sotto un altro aspetto: Il dramma è primario. Non è la rappresentazione di qualcosa, ma rappresenta sé stesso, è sé stesso. L'azione drammatica è "originaria": si realizza nell'atto stesso in cui si manifesta. Il dramma non conosce né citazioni né variazioni: la citazione porrebbe il dramma in rapporto a ciò che si cita.La variazione metterebbe in questione il carattere primario, ossia "vero", del dramma , come variazione di qualcosa fra le altre variazioni possibili, si presenterebbe come qualcosa di secondario. Inoltre sarebbe presupposto un autore della citazione e della variazione, e il dramma sarebbe riferito a sé stesso. Il dramma è primario: ecco perché i drammi storici finiscono per essere essenzialmente "non drammatici". Il dramma è primario: l'azione drammatica si svolge sempre al presente. Ciò non implica nessuna staticità; indica solo il particolare tipo di decorso temporale nel dramma: il presente passa e si trasforma in passato, ma come tale non è più presente. Il presente passa operando un mutamento, e dalle sue antitesi sorge un nuovo e diverso presente. Il decorso del tempo nel dramma è una successione assoluta di "presenti". Il dramma stesso, come assoluto, garantisce e crea da sé il proprio tempo. Ogni istante dell'azione drammatica deve quindi contenere il germe del futuro, deve essere "carico di futuro". Ciò è reso possibile dalla struttura dialettica del dramma, che poggia a sua volta sul contesto dei rapporti inter soggettivi. La discontinuità temporale delle scene è inconciliabile col principio della successione assoluta dei presenti, poiché ogni scena avrebbe il suo antefatto e il suo seguito al di fuori della rappresentazione; e le singole scene sarebbero quindi relativizzate. Considerazioni analoghe devono essere fatte per quanto riguarda l'unità di luogo. Anche l'ambiente spaziale deve essere espunto dalla coscienza dello spettatore. Solo così si determina una scena assoluta, e cioè drammatica. E ciò è tanto più difficile quanto più frequente è il cambiamento di scena. Anche la discontinuità spaziale presuppone l'io epico. La struttura dei drammi shakespeariani si distingue in questi due punti da quella del teatro classico francese. Quella successione di scene slegate ed ambientate in diversi luoghi deve essere messa in relazione con le esigenze della materia nelle "storie", dove un narratore presenta al pubblico i singoli atti come se fossero i capitoli di un'opera storica popolare. Dal carattere di assolutezza del dramma deriva anche l'esigenza di non lasciare alcun posto al caso e di dare sempre una motivazione. L'elemento casuale penetra nel dramma dall'esterno; ma in quanto viene motivato acquista un fondamento, affonda cioè le sue radici nel terreno del dramma stesso. Il dramma è un tutto compiuto ed autonomo. E questa totalità è di origine dialettica. Essa non è dovuta cioè a un io epico che entri nell'opera, ma alla risoluzione della dialettica inter soggettiva, che diventa, nel dialogo, linguaggio. Anche per quest'ultimo aspetto il dialogo è quindi il portatore del dramma, ed è dalla possibilità del dialogo che dipende la possibilità del dramma.