Gli ultimi drammi tedeschi che sono ancora tali furono scritti da Gerhart Hauptmann: si pensi a Il vetturale Henschel (1898), a Rose Bernd (1903) e a I topi (1911). Ma ciò che permette questa tarda riuscita è il naturalismo, dalle cui tendenze conservatrici nel campo della drammaturgia abbiamo già avuto modo di parlare brevemente a proposito di Strindberg. Il dramma naturalista sceglieva i suoi protagonisti negli strati inferiori della società. Qui esso trovava esseri umani dotati di una volontà indomita, che sapevano battersi con tutte le loro forze per un'impresa a cui erano spinti dalla passione; esseri umani che nessuna differenza fondamentale separava gli uni dagli altri: né il riferimento all'io, né alla riflessione. Erano esseri ben in grado di reggere un dramma, per sua natura limitato all'accadere intersoggettivo sempre attuale. Al divario sociale fra gli strati inferiori e quelli superiori della società corrispondeva quindi un divario drammaturgico: la capacità o meno di reggere un dramma. Il verbo naturalistico, che in buona fede proclamava che il dramma non è proprietà esclusiva della borghesia, celava l'amara constatazione del fatto che la borghesia aveva perso da tempo il possesso del dramma. Si trattava di salvare il dramma. Poiché ci si rendeva conto della crisi del dramma borghese, si fuggiva dal proprio tempo. Ma non ci si rifugiava nel passato, ma in un presente estraneo. Scendendo i gradini della scala sociale, si scoprivano elementi arcaici nel presente; si faceva girare indietro la lancetta sul quadrante dello spirito oggettivo, e così facendo l'adepto del naturalismo diventava un autore "moderno". Mentre nel diciottesimo secolo il passaggio del dramma dall'aristocrazia alla borghesia corrispondeva a un processo storico, l'introduzione naturalistica del proletariato nel dramma, che ha luogo verso il 1900, intende invece sfuggire a quel processo. Questa è la dialettica storica del dramma naturalistico. Ma esso ha anche una dialettica drammaturgica. Il distacco sociale, che solo rende possibile il dramma del naturalismo, gli si rivela fatale come distacco drammatico. Il fatto stesso che sia stato possibile imperniare l'opera hauptmanniana intorno alla categoria della compassione, ribadisce - anziché smentirla - la tesi che Hauptmann si colloca di fronte alle sue creature in qualità di osservatore, e non è dietro di loro, in loro. Poiché la compassione presuppone appunto una distanza; quella distanza che essa abolisce. Il vero autore drammatico - al pari dello spettatore - non si trova affatto in una posizione di distacco rispetto alle dramatis personae; è un tutt'uno con esse o rimane del tutto fuori dell'opera. Questa identità fra autore, spettatore e dramatis personae diviene possibile perché i soggetti del dramma sono sempre proiezioni del soggetto storico: essi coincidono con lo stato della coscienza. In questo senso ogni vero dramma è lo specchio del suo tempo, e nei suoi personaggi si riflette quello strato sociale che forma per così dire l'avanguardia dello spirito oggettivo. Per questo motivo non esiste un vero e proprio dramma storico. Quello mitologico-storico del classicismo francese era il dramma dell'aristocrazia e del re. L'accostamento fra Olimpo e Corte compiuto nell'Anfitrione di Moliére non è un caso piccante isolato, ma esprime il rapporto storico-spirituale dell'epoca anche nei confronti della tragédie classique. E la massima fedeltà storica nella riproduzione dei discorsi parlamentari non impedisce, ad esempio, a Buchner di far perire Danton di quella noia che appare storicamente solo dopo la caduta di Napoleone, e che diventa l'esperienza più personale dello stesso Buchner quando si rende conto dell'inattualità del suo programma rivoluzionario. (Sui rapporti fra la noia e la situazione postnapoleonica ci informano soprattutto le opere di Stendhal). Nel dramma naturalistico, che evita la fuga nella storia grazie agli anacronismi del presente, non si riflette, però, né la borghesia a cavallo del secolo, né la classe da cui attinge i suoi personaggi, ma una delle due classi osserva l'altra: l'autore borghese e la borghesia, che costituisce il suo pubblico, osservano la classe contadina e il proletariato. Questo distacco ha le sue ripercussioni negative sul piano drammatico. L'analisi dei Tessitori ha mostrato che il linguaggio naturalistico presuppone l'io epico. A questo problema si ricollega quello dell'"ambiente". La riproduzione dell'ambiente non si lascia dedurre semplicemente dal programma naturalistico. Essa non indica solo l'intenzione dell'autore, ma anche il suo punto di vista. Lo sfondo delle persone che agiscono, l'atmosfera in cui si muovono, si rivela solo all'autore che sta di fronte ad esse o che le visita come un estraneo: in una parola al narratore epico. Questa relativizzazione del dramma di fronte al narratore epico, che esso presuppone in quanto dramma naturalistico, si riflette, al suo interno, come relativizzazione dei personaggi di fronte all'ambiente, che appare estraniato da essi. La tanto vilipesa "astrattezza" della tragédie classique, e il limitarsi del suo linguaggio ad un lessico scelto, corrisponde perfettamente al principio formale drammatico. L'astrattezza fa emergere con somma purezza ciò che si svolge attualmente fra gli uomini: il lessico ridotto diventa, per così dire, possesso esclusivo del dramma e non lo rimanda fuori di sé all'empiria, come accade invece nel dramma naturalistico. Qualcosa di simile si può mostrare infine nell'azione. L'azione del dramma naturalistico appartiene per lo più al genere "fait divers". Il fait divers è l'accadere estraniato al suo terreno, in sé stesso abbastanza interessante per essere riferito. L'identità dei protagonisti è quindi irrilevante: è un fatto essenzialmente anonimo. I dati forniti dai giornali, come ad esempio: "Pauline Piperkarcka, domestica, anni venti, abitante a Berlino Nord", servono solo ad attestare l'autenticità del fait divers. Il rifluire dell'azione nell'interiorità dei soggetti, l'oggettivarsi di questa interiorità nell'azione - come esige Hegel per la drammaturgia -, è reso impossibile, in questo caso, dalla natura stessa del fait divers. Ecco perché esso non può mai essere pienamente inserito nel dramma naturalistico. Esso costituisce, all'interno di esso, un'azione, per così dire, rappresa, che non si lascia mai integrare perfettamente ai caratteri e al loro ambiente. La dissociazione fra ambiente, carattere ed azione nel dramma naturalistico, la reciproca estraniazione in cui essi si manifestano, esclude la possibilità di una fusione omogenea dei vari elementi in un movimento globale assoluto, com'è quello richiesto dal dramma. Lo sbriciolamento che caratterizza quasi tutti i drammi naturalistici di Hauptmann, e più di tutti forse Il gallo rosso (1901), ha le sue radici in questa problematica, che a sua volta potrebbe trovare una soluzione solo nel campo dell'epica; nella coesione, cioè, dei più disparati elementi ad opera dell'io epico. Così la drammaturgia del naturalismo, in cui la forma drammatica cerca di sopravvivere alla crisi determinata dalla storia, è - per qeullo stesso distacco dalla borghesia che le consente di salvare il dramma- sempre in pericolo di rovesciarsi in epica.