La prima importante corrente drammatica del nuovo secolo, e a tutt'oggi la sola a cui abbia aderito un'intera generazione, non trovò da sé la propria risposta a quella crisi del dramma da cui nasceva, ma l'attinse dal grande precursore che, negli ultimi anni del secolo scorso, più di ogni altro si era allontanato dal dramma. Nella sua dorma, la drammaturgia dell'espressionismo tedesco (fra il 1910 e il 1925 circa) deve molto alla tecnica dello "Stationendrama" di Strindberg. Dove colpisce il fatto che abbia potuto assurgere a modello proprio l'opera di un poeta che aveva fatto - come nessun altro prima di lui - un uso per così dire privato della scena, disseminandola di frammenti tratti dalla storia della propria vita. Ma non solo Strindberg supera - in senso universale - la limitazione al proprio io, conferendole la sua forma adeguata, quella cioè del dramma a tappe. Il momento dell'anonimità, della ripetibilità, il momento formale, è già implicito nell'autoritratto, nell'immagine del singolo. Di ciò testimonia - fra l'altro - il suo nome in Verso Damasco: lo Sconosciuto. In questo nome Strindberg, l'autore, coincide con "ognuno", esso è insieme, più personale e impersonale, più univoco e polivalente di quanto potrebbe esserlo un nome proprio fittizio. Ma ciò che ha a che fare con la dialettica dell'individuazione come è esposta nei Minima moralia di T. W. Adorno. "Per quanto reale possa essere l'individuo - vi si dice, - nel suo rapporto con altri, concepito come assoluto, è pura astrazione". L'io "diventa tanto più ricco quanto più liberamente si sviluppa nella società e la riflette, mentre la sua definizione e cristallizzazione, che lo ipostatizza ad origine, non fa che limitarlo, ridurlo e impoverirlo". Ciò che, pur nel suo isolamento, caratterizza come individuo lo Sconosciuto nella trilogia Verso Damasco, sono i residui traumatici della socialità passata, e l'ultima opera di Strindberg, La strada maestra, conferma che - limitandosi al soggetto - la possibilità di un'espressione soggettiva, ossia originaria, non che determinarsi è addirittura soppressa. L'espressionismo assume la tecnica a stazioni di Strindberg come forma drammatica del singolo, di cui cerca di rappresentare, anziché le azioni inter personali, il cammino attraverso un mondo che gli è divenuto estraneo. Abbiamo già parlato a lungo della struttura formale dello "Stationendrama", della sua epicità, che riflette l'opposizione fra l'io isolato e il mondo che gli è divenuto estraneo. Dobbiamo ancora accennare alle varie forme dell'isolamento, e al modo in cui il vuoto dell'io isolato si traduce nella visione e nello stile dell'espressionismo. Lo Sconosciuto di Strindberg torna, nelle opere espressionistiche, nelle vesti de Il Figlio (Hasenclever), Il giovane (Johs), Il mendicante (Sorge); la sua via Verso Damasco diventa La trasformazione (Toller), la Strada rossa (Csokor), il perdio Dell'alba a mezzanotte (Kaiser). Ciò che differenzia l'uno dall'altro questi drammi a tappe non è certo l'individualità dei loro protagonisti. A caratterizzarli è piuttosto la sfera particolare in cui introducono il singolo contesto formalmente: il mondo dell'autorità paterna e quello opposto, senza principi e senza inibizioni, nel Figli di Hasenclaver; il mondo della guerra ne La trasformazione di Toller; il mondo della metropoli nel Mendicante di Sorge, in Dall'alba a mezzanotte di Kaiser e in Tamburi nella notte di Brecht. Paradossalmente la drammaturgia dell'io dell'espressionismo non culmina nella raffigurazione dell'uomo isolato, ma nella rivelazione spietata della metropoli e dei suoi luoghi di divertimento. Dove sembra rivelarsi un tratto essenziale di tutta l'arte espressionistica. Poiché il suo limitarsi al soggetto conduce allo svuotamento del medesimo, ad essa - come linguaggio dell'estremo soggettivismo - è tolta la possibilità di dire qualcosa di essenziale sul soggetto stesso. E viceversa il vuoto formale dell'io precipita nel principio stilistico dell'espressionismo, nella deformazione soggettiva dell'oggettività. Perciò l'espressionismo tedesco ha raggiunto i suoi risultati migliori, e probabilmente imperituri, nelle arti figurative e soprattutto nel disegno (si pensi agli artisti del Brucke di Dresda), mentre la sua lirica soggettiva, dove il singolo cercava di superare urlando il senso del proprio vuoto, è stata presto e giustamente dimenticata. (E la grossa eccezione, in realtà, non è tale, perché nelle poesie di Trakl sono immagini a trasformarsi in parole). Questa situazione si riflette all'interno delle opere drammatiche: la tecnica a stazioni fissa bensì in modo formalmente valido l'isolamento dell'uomo, ma ad espressione tematica non giunge, in essa, l'io isolato, ma il mondo estraniato a cui l'io si contrappone. Solo nell'auto estraniazione, per cui viene a coincidere con l'oggettività estraniata, il soggetto trova modo di esprimere sé stesso. Certo, nella drammaturgia espressionistica, l'uomo si riduce per varie ragioni al singolo. Essa non si limita alla rappresentazione autobiografica o critica di un isolamento psichico-sociale, come avviene nel Figlio di Hasenclever, o nei drammi del reduce di Toller (Lo sciancato) e di Brecht (Tamburi nella notte). Anzi, l'isolamento appare anche nei programmi, come nel manifesto di Georg Kaiser per "il rinnovamento dell'uomo". "La verità più profonda la trova sempre un uomo solo", si dice in posizione di rilievo nel manifesto di Kaiser: e i suoi drammi a tappe guidano un uomo solo rinnovato attraverso un mondo quasi sempre incomprensivo (Dall'alba a mezzanotte). L'affrancamento del singolo individuo dal rapporto inter soggettivo corrisponde, infine, anche alla massima aspirazione dell'espressionismo: intendere e rappresentare l'uomo in base ad un'intuizione essenziale. Così l'isolamento diventa metodo. In uno dei principali scritti teorici dell'espressionismo si dice: Ciascun uomo non è più individuo, non è più legato al dovere, alla morale, alla società, alla famiglia. Egli diventa, in quest'arte, ciò che vi è di più alto e più misero insieme: egli diventa uomo. Ecco il nuovo, l'inaudito rispetto alle epoche precedenti. Qui non si ripensa più, finalmente, la concezione borghese del mondo. Qui non ci sono più rapporti che velino l'immagine dell'uomo. Non più vicende matrimoniali, tragedie determinate dal contrasto fra convenzione e bisogno di libertà, drammi d'ambiente, capi severi, ufficiali amanti della bella vita, marionette che, appese ai fili della psicologia, recitano, ridono, soffrono secondo le leggi, le concezioni, gli errori e i vizi di questa vita sociale fatta e costruita dagli uomini. L'inevitabile astrattezza e vacuità del singolo, che già si avverte nei drammi a tappe di Strindberg, trova qui una giustificazione ed una infrastruttura teoretica: l'uomo è consapevolmente trattato, dall'espressionismo, come un'entità astratta. E rinunciando orgogliosamente ai rapporti inter soggettivi, ai nessi che velano l'immagine dell'uomo, l'espressionismo rifiuta la forma drammatica , che del resto si rifiuta da sé al drammaturgo moderno, proprio perché quei nessi si sono spezzati.