Nonostante le contraddizioni interne, che essa cela necessariamente come "dramma sociale", l'opera di Hauptmann I tessitori resta per decenni, con poche altre opere del naturalismo (come L'albergo dei poveri di Gor'kij), al vertice della drammaturgia che si propone di rappresentare le condizioni sociali. Poiché il verdetto di condanna pronunciato dalla tematica sociale sulla forma drammatica, che è già implicito ne I tessitori, è eseguito negli anni '20, prima che nell'ambito della produzione drammatica, in quello più effimero della regia. Ciò avviene nell'attività di Erwin Piscator, dal cui il libro Il teatro politico (1929), ricco di spunti e come documento e come programma, togliamo alcuni passi che rientrano nel quadro della nostra ricerca. Questo accenno a fatti della storia del palcoscenico è giustificato dall'influenza che le messe in scena di Piscator hanno esercitato sugli autori drammatici dei decenni successivi, come anche dalla genesi negativa dei suoi sforzi dalla produzione drammatica del suo tempo: "Forse tutto il mio modo di fare il teatro è stato determinato unicamente da questa mancanza di una produzione drammatica. Certo la mia regia non sarebbe mai stata così invadente, se avessi trovato pronta una produzione drammatica adeguata". Piscator ha indicato nel naturalismo una delle radici del "teatro politico", e la sua prima messa in scena de L'albergo dei poveri di Gor'kij, che prende le mosse da problemi analoghi a quelli di Prima dell'alba e dei Tessitori, presenta già importanti elementi della "rivista politica", in cui - più tardi - egli avrebbe risolto il dramma. In questa sua opera naturalistica giovanile, Gor'kij aveva dato un quadro d'ambiente, che era bensì tipizzato, ma comunque strettamente delimitato secondo le condizioni di allora. Nel 1925 non potevo più limitare le mie idee alle misure di una stanzetta in cui vivevano dieci creature infelici, ma dovevo necessariamente sconfinare negli slums di una moderna metropoli. Era in discussione la miseria del proletariato come concetto. Per cogliere questo concetto bisognava che ampliassi i limiti del dramma [...]. Proprio i due momenti in cui il dramma subì una rielaborazione in questo senso risultarono più efficaci dal punto di vista teatrale: l'inizio, coi rumori di una massa che russa e geme e riempie la scena, il risveglio di una grande città, i campanelli dei tram, finché il soffitto si abbassa, e il mondo circostante viene escluso dalla stanza e dalla scena; e il tumulto, non solo nel cortile, una piccola rissa di carattere privato, ma la ribellione di un quartiere intero contro la polizia, l'insurrezione di una massa. Così, in tutto il lavoro, la mia tendenza è stata quella di far assurgere il dolore del singolo alla generalità, alla tipicità del tempo presente, sconfinando ogni volta, quand'era possibile (alzando e abbassando il soffitto), dalla piccola stanzetta del mondo Queste modifiche, indubbiamente adeguate alle intenzioni della drammaturgia sociale, toccano la forma drammatica nella sua essenza: sono rivolte contro la sua assolutezza. La scena attuale, che per il dramma costituisce un mondo a sé, un microcosmo che si sostituisce al macrocosmo, diventa una "sezione", la cui rappresentazione ha luogo secondo il principio della parte per il tutto. La relazione che esiste fra la parte e il tutto, il valore esemplificativo del fatto di limitarsi a una stanza e a una decina di persone, diventa esplicito nell'abbassarsi del soffitto all'inizio. In tal modo la scena drammatica è messa in rapporto col mondo che la circonda e che essa rappresenta, e insieme è inserita in un procedimento dimostrativo e relativizzata ad un io epico. Piscator corregge così la deformazione operata inevitabilmente dal dramma sociale col suo contrasto di oggettività alienata sul piano tematico e attualità inter soggettiva nel postulato formale. Il processo storico di reificazione e socializzazione, che è invertito e annullato dalla trasposizione drammatica in eventi inter soggettivi, viene a ricevere forma adeguata mercé la nuova inversiona operata da Piscator sul piano della regia. E' questo l'intento e la funzione di tutte le innovazioni di Piscator, che sono alla base della sua fama. La dimostrazione convincente può costruirsi solo su una conquista piena e scientifica dell'argomento; e vi posso giungere solo se - per dirla nel gergo teatrale - mi riesce di superare il taglio personale di una scena, il carattere esclusivamente individuale e casuale dei personaggi e del loro destino. E più precisamente creando una connessione fra l'azione scenica e le grandi forze che agiscono nella storia. Non è un caso se il protagonista di ogni lavoro diventa l'argomento, la materia stessa. Essa fornisce la necessità, la legge scientifica della vita, da cui soltanto il destino privato attinge un significato superiore. L'uomo sulla scena ha per noi il valore di una funzione sociale. Al centro del nostro interesse non stanno i rapporti dell'uomo con sé stesso, né i suoi rapporti con Dio, ma i suoi rapporti con la società. Dove egli si presenta, si presenta insieme con lui anche la sua classe o il suo ceto. Quando entra in un conflitto, morale, spirituale o istintivo, entra in conflitto con la società [...]. Un'epoca in cui sono all'ordine del giorno i rapporti interni della collettività, la revisione di tutti i valori umani, la riforma di tutti i rapporti sociali, non può vedere l'uomo altro che nella sua posizione di fronte alla società e di fronte ai problemi sociali della sua epoca, cioè l'uomo come essere politico. E se questa eccessiva importanza dell'elemento politico - che non si determina per colpa nostra, ma per la disarmonia delle attuali condizioni sociali che rendono politica ogni manifestazione della vita - può condurre, un un certo senso, a una distorsione dell'immagine dell'uomo ideale, questa immagine avrà almeno il vantaggio di corrispondere alla realtà. Che cosa sono le forze del destino della nostra epoca? [...] L'economia e la politica, e come risultato di queste due forze, la società, l'elemento sociale [...]. Se perciò considero come problema centrale di ogni azione scenica la trasposizione dei fatti privati in un quadro storico, questo può significare una cosa sola, e cioè la loro trasposizione in un quadro politico, economico, sociale. Solo così possiamo mettere il teatro in connessione con la nostra vita. La formula fondamentale degli sforzi di Piscator (sollevare l'accadere scenico ad un significato storico, o - formalmente - relativizzare la scena attuale all'oggettività individualizzata) distrugge l'assolutezza della forma drammatica e dà vita ad un teatro epico. Uno dei mezzi "che rivelano l'influenza reciproca fra i grandi fattori umano-superumani, e un individuo o una classe", e il cui impiego rappresentò l'epicizzazione più evidente e importante di Piscator, è il cinema. Lo sviluppo del cinematografo dal principio del secolo fino agli anni '20 è segnato da tre scoperte: la mobilità della macchina da presa, cioè il variare dell'inquadratura; il primo piano; il montaggio, la composizione delle immagini. Come ha dimostrato B. Balàzs nel suo fondamentale libro L'uomo visibile (1924), queste tre innovazioni permisero al cinema di acquisire possibilità espressive proprie, e di diventare un genere artistico a sé. La scoperta del cinema, attorno al 1900, aveva avuto dapprima un carattere puramente tecnico; il cinema era un espediente tecnico per portare sullo schermo il teatro. Come riproduzione meccanica di una rappresentazione teatrale, si poteva considerare drammatico. Con le tre innovazioni artistiche cui abbiamo accennato, che inseriscono produttivamente la macchina da presa nel quadro, sfruttano le modificazioni del rapporto macchina da presa - oggetto per la formazione dell'immagine, e fanno determinare la successione delle immagini non solo dall'accadere reale, ma anche - grazie al montaggio - dal principio compositivo del regista, il cinema cessa di essere del teatro fotografato, e diventa una narrazione indipendente per immagini. Esso non è più la meccanica riproduzione di un dramma, ma una forma d'arte epica autonoma. Questo carattere epico del cinematografo, che si fonda sulla contrapposizione di macchina da presa e oggetto, sulla rappresentazione soggettiva dell'oggettività come oggettività, consentì a Piscator di comprendere nella vicenda scenica ciò che si sottrae essenzialmente all'attualizzazione drammatica: la realtà estraniata e oggettiva delle strutture sociali politiche, economiche. Esso gli permise di inserire l'accadere scenico in un quadro storico. In questa funzione Piscator usò il cinema nell'allestimento, ad esempio, di Oplà, noi viviamo! (1927) di Toller. Anche qui si trattava di "dedurre il destino del singolo da fattori storici universali, mettere drammaticamente in rapporto il destino di Thomas con la guerra e la rivoluzione del 1918". l'idea fondamentale del dramma era "l'urto col mondo di oggi dell'uomo che ha vissuto isolato durante otto anni", "Bisogna mostrare questi nove anni, con tutti i loro orrori e follie, e anche nei loro particolari insignificanti. Bisogna dare un'idea della mostruosità di questo spazio di tempo. Solo spalancando davanti agli occhi dello spettatore questo abisso, l'urto raggiunge la violenza voluta. Nessun altro mezzo che il film potrebbe passare in rassegna otto anni interminabili nello spazio di sette minuti, Solo per questo inserto cinematografico fu necessaria una sceneggiatura che comprendeva circa quattrocento dati di politica, economia, cultura, società, sport, moda, ecc". "Una piccola squadra [...] era continuamente [...] alla ricerca di brani di pellicole dal vero girate negli ultimi dieci anni". Ma l'inclusione del film nella regia teatrale conferisce al dramma politico-sociale un carattere epico non solo grazie all'epicità immanente del cinema. Agisce in senso epicizzante (poiché relativizza) anche l'accostamento di ciò che avviene sulla scena e di ciò che avviene sullo schermo. L'azione scenica cessa di fondare in esclusiva l'unità globale dell'opera. Questa unità non sorge più dialetticamente dai fatti inter soggettivi, ma risulta dal montaggio di scene drammatiche, notizie filmate, cori lontani, proiezioni di calendari, rimandi di vario genere, ecc. L'interna relativizzazione delle varie componenti è sottolineata spazialmente dal "palcoscenico simultaneo", che Piscator usa in varie forme. Anche il tempo della rivista montata, che così si determina, non è più quella successione assoluta di presenti attuali che è propria del dramma. Il cinema lascia nel passato gli avvenimenti passati che presenta documentariamente. Esso può anche anticipare il futuro nell'ambito della vicenda scenica, e sciogliere la tensione essenzialmente drammatica verso il futuro in un accostamento di carattere epico. In Rasputin di A. Tolstoj, ad esempio, il film, mostrando anzitempo sullo schermo la fucilazione della famiglia dello zar, "metteva a confronto (davanti allo spettatore) i personaggi col loro futuro destino". Anche i cori e i proclami che si rivolgono direttamente al pubblico, appartengono al decorso reale del tempo. Ma dietro tutti questi elementi di rivista si cela ingigantito l'io epico che li tiene insieme e che li presenta al pubblico col gesto dell'oratore politico: Erwin Piscator in persona. Che egli stesso si vedesse e presentasse così, è provato fra l'altro da uno scenario divenuto celebre: sul gigantesco fondale della scena a tre piani sovrapposti, appare il suo profilo monumentale.