Da alcuni decenni i Sei personaggi in cerca d'autore rappresentano per molti la quintessenza del dramma moderno. Ma a questa importanza storica dell'opera non corrisponde il motivo della sua origine, come è descritto da Pirandello nella prefazione: un infortunio sul lavoro della sua immaginazione. Il problema è questo: perché i personaggi sono in "cerca d'autore" , perché Pirandello non è divenuto il loro autore. Per tutta risposta il drammaturgo ci dice che un giorno la fantasia gli portò a casa sei personaggi. Ma egli li respinse, poiché non vedeva nel loro fato un "significato più alto", in grado di giustificare la rappresentazione. Solo l'insistenza con cui chiedevano di vivere fece scoprire a Pirandello questo "significato più alto", ma non era più quello che intendevano. Al dramma del loro passato egli sostituì quello della loro nuova avventura: la ricerca di un altro autore. Nulla autorizza la critica a mettere in dubbio questa spiegazione, ma nulla le può impedire di affiancargliene un'altra, tratta dall'opera stessa, e che ne sottrae la genesi al caso per conferirle un valore storico. Poco dopo la comparsa dei sei personaggi (sulla scena si stava provando un'altra opera), il loro portavoce parla di quel rifiuto da parte del drammaturgo e completa la motivazione data nella prefazione, con le seguenti parole: "L'autore che ci creò, vivi, non volle poi, o non poté materialmente, metterci al mondo dell'arte". L'idea che sia più questione di potere che di volere - o, formulando la cosa dal punto di vista oggettivo, che sia questione di possibilità - è confermato successivamente dall'intera opera. Poiché il tentativo dei sei personaggi di dare al loro dramma realtà teatrale, con l'aiuto della compagnia che sta provando, non solo consente di individuare l'opera che Pirandello si sarebbe rifiutato di scrivere, ma permette insieme di scorgere i motivi che la condannavano a priori al fallimento. Si tratta di un dramma analitico del genere delle tarde opere di Ibsen o dell'Enrico IV dello stesso Pirandello che è quasi contemporaneo ai Sei personaggi. Il primo atto si svolge in casa della mezzana, Madama Pace, dove un visitatore riconosce la propria figliastra in una ragazza che gli viene offerta. Il primo atto si chiude col grido acuto della sua prima moglie, la madre della fanciulla, che appare all'improvviso. Il secondo atto si svolge nel giardino del padre . Questi, a dispetto del proprio figlio, riprende con sé la prima moglie e i tre figli di lei. Ciascuno nutre sentimenti di inimicizia nei riguardo degli altri: il Figlio nei riguardi della Madre, perché ha abbandonato suo padre; la Figliastra nei riguardi del patrigno, a causa della sua visita da Madama Pace; il Padre nei riguardi della Figliastra, perché essa lo giudica solo sulla base di quell'errore; il Figlio nei riguardi della sorellastra, perché è figlia di un estraneo. Gradualmente, per messo di un'analisi ibseniana, si fa luce sul passato dei genitori, e l'errore è individuato nei principi del Padre, benintenzionati, ma rovinosi. "Ho sempre avuto di queste maledette aspirazioni a una certa solita sanità morale": è così che egli spiega il fatto di aver sposato una donna per le sue umili origini, senza amarla, e di averle poi sottratto il figlio per affidarlo a una balia in campagna. Quando la Madre aveva trovato comprensione nel segretario di suo marito, il Padre aveva pensato bene di dover rinunciare a lei e aveva permesso ai due di fondare una nuova famiglia. E anche il benevolo interessamento che egli aveva dimostrato in seguito verso il loro, si era rivelato infausto: geloso, il segretario aveva portato moglie e figli all'estero, e solo dopo la sua morte questi erano ritornati in patria, in preda alla miseria. La Madre si era messa a cucire per Madama Pace e la Figlia le portava il lavoro, con una catastrofe ingiustificata: uno dei ragazzi annega nella fontana, l'altro si uccide con un colpo di pistola. Per svolgere il piano di quest'opera secondo le regole della drammaturgia classica, sarebbe stata necessaria non solo la maestria di Ibsen, ma anche la sua cieca violenza. Pirandello si rese invece chiaramente conto della resistenza della materia e dei suoi presupposti spirituali alla forma drammatica. Perciò rinunciò ad essa, e anziché spezzare quella resistenza la mantenne nella tematica. Nacque così un'opera che si sostituisce a quella divisata e ne tratta come di un'opera impossibile. I dialoghi fra i sei personaggi e il capocomico non si limitano a fornire lo schema dell'opera originaria, ma permettono anche di cogliere le forze che, già a partire da Ibsen e da Strindberg, mettono in questione la forma drammatica. La Madre e il Figlio richiamano personaggi di Ibsen, ma non essendo ancora soggiogati dall'autore drammatico possono mostrare quanto sia loro odiosa la franchezza del dialogo e della scena. LA MADRE: Oh, signore, la supplico di impedire a quest'uomo di ridurre ad effetto il suo proposito, che per me è orribile! IL FIGLIO: Signore, quello che io provo, quello che sento, non posso e non voglio esprimerlo. Potrei al massimo confidarlo, e non vorrei neanche a me stesso. Non può dunque dar luogo, come vede, a nessuna azione da parte mia. Ma che cos'è codesta frenesia che t'ha preso? Non ha ritegno di portare davanti a tutti la sua vergogna e la nostra! Io non mi presto! E interpreto così la volontà di chi non volle portarci sulla scena! Si dice perfino che questo atteggiamento del figlio rende impossibile l'unità drammatica di luogo, perché essa implica l'incontro con gli altri, che egli vuole, appunto, evitare: IL CAPOCOMICO: Vogliamo insomma cominciarlo, questo secondo atto? LA FIGLIASTRA: Non parlo più! Ma badi che svolgerlo tutto nel giardino, come lei vorrebbe possibile, non sarà possibile! IL CAPOCOMICO: Perché non sarà possibile? LA FIGLIASTRA: Perché lui (indicherà di nuovo il figlio) se ne sta sempre chiuso in camera appartato! In altre scene, nella protesta della Figliastra, si introduce il naturalismo. A tal punto il teatro è considerato qui imitazione della realtà, che esso è destinato a fallire proprio per l'incolmabile divario fra scena reale e scena teatrale, fra il personaggio e l'attore. Insieme, la Figliastra rappresenta l'io strindberghiano, che esige per sé tutta la scena. La critica del Capocomico, che essa provoca con questo atteggiamento, è una critica alla drammaturgia soggettiva stessa: LA FIGLIASTRA: Ma io voglio rappresentare il mio dramma! Il mio! IL CAPOCOMICO (seccato, scrollandosi fieramente): Oh, infine, il suo! Non c'è soltanto il suo, scusi! C'è anche quello degli altri! Quello di lui (indicherà il Padre), quello di sua madre! Non può stare che un personaggio venga, così, troppo avanti, e soprafaccia gli altri, invadendo la scena. Bisogna contenere tutti in un quadro armonico e rappresentare quel che è rappresentabile! Lo so bene anche io che ciascuno ha tutta una sua vita dentro e che vorrebbe metterla fuori. Ma il difficile è appunto questo: farne venir fuori quel tanto che è necessario, in rapporto con gli altri; e pure in quel poco far intendere tutta l'altra vita che resta dentro! Ah, comodo, se ogni personaggio potesse in un bel monologo, o....senz'altro...in una conferenza venire a scodellare davanti al pubblico tutto quello che gli bolle in pentola! Ma è solo nel personaggio del Padre che si esprime la verità più intima di Pirandello. Che essa implichi l'abolizione del drammatico, viene - naturalmente - taciuto, sia perché al Padre sta a cuore la realizzazione del dramma, sia perché Pirandello non voleva limitare al dramma la validità delle sue tesi. Ciononostante i presupposti esistenziali del dramma non sono mai stati messi in discussione così nettamente come nella filosofia della vita soggettivistica di Pirandello. Questo soggettivismo è la causa prima del fallimento del dramma dei sei personaggi, ed esso spiega la loro eterna e infruttosa ricerca di un autore. IL PADRE: Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!. Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi, veda, si crede "uno", ma non è vero: è "tanti", signore, "tanti", secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi: "uno" con questo, "uno" con quello - diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'essere sempre "uno per tutti", e sempre "quest'uno" che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero! Non è vero! Ce ne accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell'atto e che dunque un'atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi, alla gogna, per un'intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell'atto. Se - nel primo passo - si nega la possibilità dell'intendersi mediante le parole, il secondo si rivolge contro l'azione come valida oggettivazione del soggetto. Contro il postulato fondamentale della forma drammatica, che considera il dialogo e l'azione, proprio nella loro definitività, come espressioni adeguate dell'essere umano, Pirandello vi scorge una limitazione indebita e nociva della vita interiore, infinitamente varia e molteplice. In quanto critica del dramma, i suoi Sei personaggi in cerca d'autore non sono un'opera drammatica, bensì epica. Come in tutta la "drammaturgia epica", ciò che costituisce la forma del dramma diventa qui tematico. Ma il fatto che questo tema non appaia, qui, in forma generale, come problema dei rapporti interumani (come in Sodoma e Gomorra di Giradoux), ma come dramma messo in questione, come ricerca di un autore e tentativo di realizzazione, fonda e giustifica la posizione speciale di quest'opera nella drammaturgia moderna, e ne fa, in certo qual modo, un'autorappresentazione della storia del dramma. Essa rappresenta insieme uno stadio ulteriore (ma sempre intermedio)nell'evoluzione epica della drammaturgia: la contrapposizione soggetto - oggetto vi è ancora mascherata tematicamente, ma questa maschera non fa più parte dell'azione vera e propria (come accadeva ancora nella Sonata degli spettri di Strindberg e in Prima dell'alba di Hauptmann). La tematica si divide strati: il primo drammatico (il passato dei sei personaggi), ma che nessuna forma è più in grado di riprodurre. Allora subentra il secondo strato, epico nella sua posizione rispetto al primo: l'apparizione dei sei personaggi davanti alla compagnia che prova e il tentativo di dar vita al loro dramma. Essi narrano e recitano da sé il loro destino; il Capocomico e la sua compagnia rappresentano il pubblico. Ma l'abolizione dell'elemento drammatico non è portata fino in fondo, poiché nell'azione epica che da fa cornice, e che si serve anch'essa della forma drammatica, non è messo in questione ciò che nell'azione vera e propria e affatto problematico: l'attualità inter soggettiva. L'idea del teatro epico si realizzerebbe appieno solo se la situazione narrativa non fosse più tematica, e neppure dialogico-scenica. Ma finché così non è, rimane sempre la tentazione di giungere a una soluzione pseudodrammatica. Nei Sei personaggi i due piani tematici, la cui dissociazione è il principio formale dell'opera, vengono - alla fine - a coincidere; il colpo uccide il ragazzo sia nel passato raccontato dei sei personaggi, che nel presente scenico degli attori che provano; e il sipario, che - secondo le norme del teatro epico - era già levato all'inizio per confondere la realtà della prova teatrale con quella degli spettatori, finisce per calare davvero.