Invasione da Nord-Est Alla fine del XIX secolo, Parigi continuava ad essere ciò che era stata almeno dalla metà del Seicento: la capitale mondiale del teatro. Il 28 dicembre 1897, in uno dei suoi circa cinquanta luoghi di spettacolo, il popolare Theatre de la Porte-Saint-Martin, specializzato in melodrammi e piéces a sfondo storico, andò in scena Cyrano de Bergerac del ventinovenne Edmond Rostand, un giovane autore marsigliese che si era da poco messo in mostra grazie alle interpretazioni della celebre attrice Sarah Bernhardt, la quale aveva dato lustro ad alcuni suoi copioni. Questa volta, però, era l'attore e capocomico Coquelin ainè (soprannome che significa primogenito, per distinguerlo da Ernst, il fratello minore detto cadet), la forza trainante della <<commedia eroica in cinque atti>>, il cui protagonista - abile spadaccino, poeta satirico e pensatore libertino - spuntava, pittoresco, dalla storia francese del XVII secolo, per scaricare sul palcoscenico eleganti duelli, un'impossibile passione per la cugina, la bella orfana Roxane, insidiata dal solito nobile vizioso, ma incline al belloccio quanto opaco cadetto Christian. Rostand donava al suo pubblico versi rimasti famosi: Ma poi, che cosa è un bacio? Un giuramento fatto un poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo roseo messo tra le parole t'amo. Questa è forse la più proverbiale battuta di Cyrano, il quale, dotato dalla natura di un enorme naso, con intima pena, occulta il proprio genio ed il proprio amore per Roxane, facendosi scudo dell'avvenenza di Christian. Nel gioco della sostituzione o travaso d'anima, Christian riuscirà a guadagnare i favori della fanciulla. Solo dopo l'uccisione in battaglia del giovane e da un Cyrano ormai in punto di morte, Roxane, che nel frattempo si è ritirata in convento, apprenderà di avere amato lo spirito e la poesia di un uomo nelle armoniose fattezze di un altro. "La messinscena è stupenda - riportano le cronache dello spettacolo alla Porte-Saint-Martin -, le scenografie e i costumi sono opulenti quasi quanti i versi, e non è poco"; Coquelin "non è mai stato più strabiliante che in questo ruolo magistrale di Cyrano, uno dei più sbalorditivi che esistano. [...] Dizione, gestualità, tutto è stato perfetto, trascinante, commevente, prodigiosamente lirico". Cyrano de Bergerac sollecitò un entusiasmo travolgente ed oltre quattrocento repliche. Emile Faguet parlò del "più bel poema drammatico apparso negli ultimi cinquant'anni" e della degna inaugurazione del XX secolo. Jules Lemaitre, sulla "Revue des Deux Mondes" del 1° febbraio 1898, osservava più freddamente che, in fondo, l'enormità di tanto successo non era affatto sovrannaturale. L'opera aveva i suoi meriti e capitalizzava con originalità spunti di almeno tre secoli di teatro francese, ma senza dubbio veniva incontro ad una certa stanchezza del pubblico ed alla sua sazietà dopo tanti studi psicologici, storielle d'adulterio parigine, pièces femministe, socialiste, scandinave, dotate di un loro indubitabile valore morale ed intellettuale, non inferiore a quello della squisita romanzesca commedia di Rostand, ma di sicuro meno piacevoli e dalle quali, negli ultimi temi, ci si sentiva un tantino sopraffatti. Il sistema teatrale parigino era stato a lungo autosufficiente e per niente propenso ad aprirsi all'importazione di copioni stranieri. Per di più, dopo la guerra franco-prussiana del 1870/1871 e il trauma della Comune, il nazionalismo (rinfocolato dal caso Dreyfus, si era spesso affacciato anche sugli spalti della critica teatrale, tanto che - ricorda sempre Lemaitre - ci si era persino compiaciuti che Cyrano "fosse esploso come la fanfara" dell'esercito francese, dimostrando che, nel successo della commedia di Rostand, erano in gioco "sentimenti ed istinti piuttosto estranei all'arte". Chi erano allora i nemici della Francia? Chi mai i pericolosi invasori" Già Lemaitre lo fa intuire benissimo, ma chi li addita, con gagliarda indignazione, è il critico conservatore Francisque Sarcey, che su "Le Temps" del 3 gennaio 1898 inneggiava a Cyrano: "Che gioia! Che gioia! Finalmente ci sbarazzeremo delle nebbie scandinave, degli studi psicologici troppo minuziosi e delle deliberate brutalità del dramma realista. Ecco il lieto sole dell'antica Gallia che, dopo una lunga notte, rispunta all'orizzonte. Fa davvero piacere e fa buon sangue!". Insomma, il nemico era costituito dai teatrini sperimentali naturalisti e poi simbolisti, che avevano aperto le porte di Parigi ai drammaturghi dell'Est e soprattutto del Nord Europa, avviando una contrastata moda culturale. I nemici del buon teatro francese di tradizione (che estendeva ancora capillarmente il proprio dominio commerciale su tutto il continente) erano stati, in larga parte, quei Révoltés Scanidnaves - "anime complesse che si muovono nella luce speciale dei paesi del Nord" e che prendono tutto sul serio (persino l'emancipazione della donna) - cui Maurice Bigeon, nel 1894, aveva dedicato uno spesso volume. A Parigi, a Henrik Ibsen, e, in seconda battuta, ad August Strindberg, veniva altresì attribuita graziosamente l'etichetta di barbari, che "minacciavano di rivoluzionare le sane tradizioni francesi". Il fenomeno della loro penetrazione - tutt'altro che una marcia trionfale - fra le élites culturali parigine (perché il sistema teatrale commerciale, nel suo complesso, ne risultò, nell'immediato, giusto tarlato, ma non certo messo in ginocchio e doveva se mai fare i conti con ben altri barbari indigeni come i music-halls in prepotente espansione) era stato significativamente pressoché simultaneo alla diffusione di certa filosofia tedesca (Schopenauer, Nietzsche, Stirner) e della letteratura russa. I barbari avevano trovato una cassa di risonanza prima nel Theatre Libre, fondato nel 1887 dall'autodidatta André Antoine e, successivamente, nel Theatre de l'Euvre, sorto nel 1893, per impulso di un suo collaboratore, Aurelien Lugnè-Poe.