Esperimenti a Mosca Anche se rappresentò qualcosa di più e di diverso da una scena libera, al culmine ideale di questo fenomeno possiamo collocare, nel 1898, la fondazione del Teatro d'Arte di Mosca da parte di Vladimir Nemirovic-Dancenko, cui si associò Konstantin Stanislavskij. Nel programma del Teatro d'Arte, Nemirovic-Dancenko si proponeva: Accessibilità comparativamente popolare al teatro: l'aspirazione a consentire alle classi meno abbienti di avere posti decenti in teatro a prezzi bassi; Finalità artistica: il tentativo di introdurre uno spirito nuovo nell'arte scenica russa, sforzandosi di liberarla dalla routine e dalle sdolcinature; Finalità cosiddetta pedagogica: dare a giovani talenti, che abbiano ricevuto una particolare educazione teatrale, la possibilità di svilupparsi. Un'altra caratteristica che Nemirovic-Dancenko rivendicava nella nuova scena era "la centralità della figura del regista", sebbene, almeno dapprincipio, la sua funzione suscitasse "discussioni senza fine sui diritti dell'attore, dell'autore" e naturalmente del regista stesso. Nel 1908, Edward Gordon Craig, scriveva che il Teatro d'Arte, pur avendo appena dieci anni di vita, già si imponeva per "serietà e carattere" su una linea "non commerciale". Il suo direttore, Konstantin Stanislavskij "crede nel realismo come mezzo attraverso il quale l'attore può rivelare la psicologia del drammaturgo. Io non ci credo". Tuttavia - concede Craig, teorico e scenografo impegnato a sovvertire le consuetudini del teatro naturalista -, "le perle a volte si possono trovare nella spazzatura; guardando in basso, a volte si può vedere il cielo". Per Craig, è ben chiaro che il nuovo secolo teatrale si porrà all'insegna di una ricerca sfaccettata quanto imponderabile, il cui aspetto peculiare sarà comunque una cosciente centralità delle prove, intese, rispetto alla rappresentazione stessa, più che come attenta rifinitura, come potenziale processo generativo di una creazione aperta o vivente. Di fatto, fra le caratteristiche del Teatro d'Arte, si imponeva proprio un peculiare perfezionismo: Perdono tempo, denaro, fatica, cervello e pazienza come prìncipi: da autentici prìncipi non ritengono che spendere grandi somme per la scenografia e il macchinario esaurisca i loro compiti, nondimeno non trascurano di occuparsene. Fanno centinaia di prove per ogni lavoro, cambiano più volte una scena finché non è in armonia con le loro idee: provano, provano e provano, inventando dettagli su dettagli con un'accuratezza e una pazienza perfette, e sempre con un'intelligenza vivida - l'intelligenza russa. Stanislavskij, secondo Craig, è un attore un po' intellettuale e d'impostazione per l'appunto realistica, ma tutt'altro che freddo: "le sue creazioni", anzi, "sono straordinarie per la grazie che hanno" e il suo teatro - se non finirà per combaciare troppo con qualche rigido concetto di poesia - "giunto all'età virile si sveglierà a una nuova coscienza, dispiegherà le ali della fantasia e si leverà in alto per quella strada più vasta e più aperta che non ha nome e non conduce in alcun luogo al di là di sé stessa". Per parte sua, Craig, non rinunciava a sottolineare la pregnanza di un teatro essenzialmente centrato sul ritmo: No. L'Arte del Teatro non si identifica con la recitazione o con il testo, e neppure con la scenografia o la danza, ma è sintesi di tutti gli elementi che compongono quest'insieme: di azione, che è lo spirito della recitazione; di parole, che formano il corpo del testo; di linea e di colore, che sono il cuore della scenografia; di ritmo, che è l'essenza della danza [...]. L'Arte del Teatro è nata dall'azione, dal movimento, dalla danza. Craig era convinto che "il realismo, la precisione dei dettagli [fossero] inutili in scena" e che solo la "maschera" potesse rendere "l'espressione dell'anima" fino al trascendimento dell'attore in una ideale Supermarionetta. Per di più, dubitava che il testo scritto [avesse] un valore più profondo e duraturo per l'Arte del Teatro", che avrebbe voluto invece largamente autonoma, eppure coglieva che un certo filone naturalistico, che da Stanislavskij in poi - parallelo o intersecato alle tendenze più astratte - avrebbe attraversato il teatro novecentesco, poteva avere in fondo potenzialità irriducibili a quel fenomeno da lui altrove denunciato nei termini di un'"ottusa affermazione della vita". Del resto, anche Stanislavskij era cosciente della pluralità degli impulsi di ricerca attivi nel nuovo secolo e non si sottrasse ad esperimenti al di fuori del perimetro del realismo. Nel maggio 1905, l'inquieto Stanislavskij inaugurò uno Studio, inteso come libero spazio di sperimentazione, recuperando al suo interno l'attore-regista Vsevolod Emil'evic Mejerchol'd, che, insofferente del suo realismo, aveva abbandonato il Teatro dell'Arte. L'esperienza non fu felice e per di più vainificata dai moti che scossero la Russia proprio in quell'anno. Nel '12, insieme a Leopol'd Sulerzickij, un collaboratore con cui era particolarmente in sintonia, Stanislavskij riprese l'idea ed avviò quello che viene denominato il Primo Studio. Questo laboratorio era più mirato - in un'atmosfera di severa esaltazione etica del lavoro artistico ("Sulerzichij sognava di creare [...] qualcosa come un ordine spirituale di artisti") - all'affinamento di un "metodo" di recitazione. A Mieczyslaw Limanowski, Stanislaviskij confessò: Ho sempre avuto pena per i lavoratori del nostro teatro che per tutta la vita ci hanno aiutato nel modo più generoso, senza poter aspirare a qualcosa di più alto sulla scena [...]. [...] Qui i costi del teatro si riducono a spese modeste. C'è molto tempo per poter provare uno spettacolo e, una volta pronto, lo si può rappresentare per anni [...]. Vorrei che in tutti i paesi ci fossero degli Studi [...]. Vorrei che tutta questa rete di istituzioni simili a loro, affini nello spirito, facesse nascere un proprio repertorio, dei propri attori, propagandasse l'arte nel mondo. Limanowski rievocherà pure l'atmosfera dello studio stanislavskiano: Nello Studio la scena si trova sullo stesso livello della platea: solo una linea sottile separa le sedie del pubblico da quel piccolo spazio sacro in cui si svolge la funzione teatrale. Ai lati le lampade elettriche; non c'è ribalta, niente giochi di luce, e l'attore non ha bisogno di truccarsi. C'è solo una trave che sostiene le luci che illuminano gli attori frontalmente. La luce è vera. Sul pavimento non si finge; l'azione può svolgersi in un'atmosfera raccolta e concentrata, vera come un pianoforte ed un violino rimangono tali anche se relegati nell'angolo estremo della scena. Lo scenario è fatto di mobili. Al Primo Studio del Teatro d'Arte fecero seguito, in Russia, ulteriori autonome iniziative laboratoriali, che spostarono sempre più l'accento dalla mera rappresentazione al processo creativo, culminando in quelle dirette, con diverse declinazioni, da Mejerchol'd, gli Studi contribuirono ad arginare, nello stesso Teatro d'Arte, l'influsso plagiante delle "pastoie naturalistiche della scuola dei Meininger" e a spianare la strada alla moderna "stilizzazione". Gli Studi russi possono considerarsi una metamorfosi radicale dei "teatri liberi" della fine del XIX secolo; non solo rimarcarono la forte vocazione pedagogica che si riscontra in tutti gli esponenti della Prima Riforma, ma indicano anche la direzione ai laboratori teatrali del secondo Novecento. In questi Studi dei primi anni del secolo, l'attenzione si fissa dalla prioritaria veicolazione di una drammaturgia alternativa (in una nuova livrea stilistica) all'approfondimento del rapporto dell'attore con sé stesso e con il suo pubblico, in una dimensione spaziale dedicata, essenziale e aperta alla stilizzazione. Alla base di tutti gli esperimenti di Stanislaviskij, restava e resterà tuttavia immancabilmente un impulso in direzione dello scavo di una verità scenica autentica, anche se epurata dai dettagli volgari superflui. Questo era poi pure il fine del suo famoso "metodo" di recitazione, ovvero un autentico cantiere aperto, che partiva da un interrogativo di fondo: "Come preservare la parte dalla degenerazione, dalla graduale morte spirituale, dalla tirannia dell'abitudine inveterata dell'attore e dell'addestramento esteriore?"; donde ricavare la necessaria "condizione creativa" dell'attore? In questi quesiti convergevano, peraltro, anche delle istanze etiche di realizzazione di una pura verità umana, che miravano a superare il teatro come tale o tendevano a trasformarlo in un mezzo esistenziale piuttosto che in un mero fine rappresentativo. All'incirca da 1906, si erano fissate le prime riflessioni di Stanislaviskij sul cosiddetto "metodo", che. ancora nel 1924, per l'attore, si configurava solo come "un certo numero di proposizioni e di esercizi", nel quale non esistevano facili "formule", ma solo "una serie di passi verso il vero stato creativo di un attore sulla scena, che, quando è autentico, è il solito normale stato di una persona nella vita reale". Per conseguire tale condizione sarebbe essenziale considerare che "in ogni azione fisica è presente un motivo psicologico interiore che stimola l'azione fisica, come in ogni azione psicologica interiore c'è anche un'azione fisica che ne esprime la natura psichica. L'azione di queste due azioni dà come risultato l'azione organica sulla scena". In conclusione: "Dato un vero stato creativo interiore sulla scena, azione e sentimento portano a una vita naturale sulla scena nella forma di uno dei personaggi". Su questo nucleo concettuale, sul tentativo di definire quella peculiare "tecnica psichica, in base alla quale l'attore produce in sé un auto-sentimento creativo", Stanislavskij si arrovellò tutta la vita e, con le sue varianti aperte e l'estremo esito della valorizzazione delle "azioni fisiche", il processo - come spesso capita in arte - risultò più stimolante e importante di un risultato compiuto.