I Messia dell'Arte Se il teatro d'avanguardia di Witziewicz non riusciva a convincere il pubblico e la critica e, già attorno al 1926, la farsa o la commedia psicologica più corrive dilagavano sulle scene polacche, il panorama nazionale offriva tuttavia un altro straordinario fenomeno teatrale: il gruppo di Reduta (dal nome del Ridotto del Teatro Nazionale di Varsavia, sua prima sede). Esattamente come nel caso di Witziewicz , anche questo fenomeno non avrebbe avuto un'immediata eco internazionale, sia per la perificità della cultura sia per la precarietà stessa della nazione polacca, ma sarebbe esploso - come vedremo - a scoppio ritardato in altre manifestazioni che avrebbero segnato in profondità il teatro del Novecento e oltre. Reduta era stato fondato nel 1919 da un geologo appassionato di teatro, Mieczyslaw Limanowski, insieme a uno dei più brillanti, ma inquieti attori polacchi, Juliusz Osterwa. Limanowski era appassionato di esoterismo e aveva interessi da orientalista, conosceva a fondo il milieu teatrale parigino e aveva frequentato a Mosca Stanislavskij e la sua cerchia; per di più, era stato istitutore del giovane Witziewicz, la cui famiglia a Zakopane era il centro di un vivace cenacolo culturale. Anche Osterwa si era confrontato con il teatro russo del tempo ed era stato vicino all'autorevole regista polacco Leon Schiller, amico di Gordon Craig. Nel 1913, Osterwa aveva partecipato all'allestimento in Polonia del Sumurin curato da un collaboratore di Max Reinhardt e non ignorava il lavoro di Appia e Copeau (che gli sarebbe imposto come una specie di modello ideale, quantunque lontano). Si potrebbe affermare così che in Reduta convergessero quasi tutti gli stimoli più importanti della sperimentazione continentale, quantunque Osterwa dichiarasse: colui "che non rifiuterà il Vecchio Teatro, ma ne creerà uno Nuovo, sarà per me il Messia dell'Arte". Questo bilanciamento di tradizione e innovazione mirava, in Reduta, a strutturarsi in un progetto alto, che - osserva Marina Fabbri -, per Osterwa (che assumerà il ruolo di regista), si "esprimeva in termini di nobilitazione dell'arte dell'attore" e, per Limanowski (direttore della compagnia), di un teatro addirittura "mediatore tra uomo e cosmo". Nel 1919, stilando il progetto del nuovo laboratorio, Limanoswki auspicava che tutti i partecipanti dovessero "prendere parte alle prove e agli esercizi: sia quelli che recitano che gli uditori. La messa in scena e la regia sono collettive, sono il risultato della creatività comune. [,,] . La grande Arte ispirata può essere realizzata sulla scena solo collettivamente". Osterwa sarebbe giunto a posizioni anche più radicali, ipotizzando, al di là dei due "poli necessari" del teatro "artista-destinatario, scena-platea", si dovesse tenere presente "un altro sistema interiore - multipolare - che non esiste nelle altre forme d'arte", per il quale gli attori alla fine "recitano davvero soltanto per sé stessi" e "fra di loro", realizzando un'autentica "recitazione collettiva", che può rendere occasionalmente inutile lo spettatore. Sin dal principio, comunque, l'esperienza di Reduta si rivelò tendenzialmente comunitaria. Jozef Poremba, collaboratore di Osterwa, ricorda: Il gruppo - è il dramma. Proseguiamo in questa direzione per una via certa. Tutti noi abbiamo soprattutto coscienza di questo scopo e di questa via; adattiamo, anzi sottomettiamo il nostro Io di attori all'Io collettivo del dramma e della sua idea. L'armonia del lavoro comune è la colonna portante del processo di definizione della creazione collettiva. Fiducia, sincerità, mutuo soccorso, ecco i segreti di questa vita condivisa. Nel 1922 era stato creato anche un Istituto Reduta per la formazione dell'attore. Limanowski riteneva l'arte dell'attore assolutamente creativa e, per parte sua, "Osterwa, insegnando e teorizzando sulla recitazione, introdusse la nozione di attore-sacerdote e fu sempre lui [...] che caratterizzò la recitazione come servizio sociale". Osterwa, del resto, aveva annotato nel proprio diario: "Il teatro è il luogo dell'Offerta/La "rappresentazione" in teatro è l'Offerta"; altrove perciserà: "Il teatro è stato creato da Dio per coloro ai quali non basta la Chiesa". Di conseguenza, Reduta richiedeva dai suoi membri un'etica severa, anzi conventuale: si arrivò all'utilizzo di una sorta di grigia tonaca da lavoro , disegnata da Iwo Gall, sopra la tuta da ginnastica ("I nostri attori non si travestono, si vestono"), e di una cucina comune, nella quale ruotavano tutti i membri della compagnia, che praticava - come dichiarato in un programma di sala del 1925 - la "condivisione dell'abitazione e di tutte le necessità quotidiane", con il vincolo (fino al 1927) di non riportare i nomi degli interpreti sui cartelloni, giacché "al primo posto deve apparire la causa e la cosa in sé, anonima, invece della fama personale degli interpreti". Prima di entrare in scena, agli attori era imposta la regola del silenzio e persino l'idea di reviviscenza stanislavskiana si trasformava, in Reduta, in "atto di confessione dell'artista, preanalizzato, purificato". L'aggregazione settaria e monacale di Reduta, nella quale comunque non mancarono crisi e scissioni, non fu sempre apprezzata e alcuni aspetti del suo lavoro, forse non ingiustamente, furono severamente criticati come velleitari e talora persino dilettantistici o plagiati dall'imperiosa personalità attoriale di Osterwa. Di contro, osservatori come Adam Bunsch hanno affermato che gli artisti della compagnia penetravano il proprio ruolo, giungendo , per via d'immedesimazione, "al limite della trasfigurazione. Nulla di strano poi che anche lo spettatore vivesse una profonda commozione, o una temporanea trasformazione interiore". L'ipoteca stanislaskiana era molto forte sullo stile del gruppo, ma non mancarono esperimenti in direzioni diverse, come quello portato avanti, nel 1923, con ben sei mesi di prove, dal pittore anarchico Adam Dobrodzicki, partendo dal copione di Una strana via di Kazimerz Andrzej Czyzowski, su cui si è scritto che, "scartando le formula del realismo e cercando una formalistica motivazione nell'astrazione del gesto e della voce, il lavoro offriva ampio materiale per una gestualità innaturale tenuta nella cornice di un grottesco brillante quantunque premeditato". L'esperienza più propriamente laboratoriale di Reduta, concepita da Osterwa "al servizio dell'arte polacca" e della sua drammaturgia romantica e moderna, si conclude nel 1924-1925, con uno spostamento delle attività su Vilnius. Fra il 1925 (quando la compagnia tenne la sua unica tournée all'estero in Lettonia) e il 1929, si sviluppa una fase eroica e analoga, per molti versi, a quella dei Copiaus. Se, nel primo periodo, scena e platea erano sullo stesso livello e, occasionalmente, gli attori si collocavano anche fuori dal palcoscenico, nel secondo, Reduta si lascia alle spalle il teatro da camera e sperimentale per affrontare, come compagnia itinerante, le folle dei paesi più remoti della provincia polacca, dove la lingua nazionale era stata quasi interdetta dalla lunga occupazione straniera. Dal settembre del 1925, Reduta sarebbe stato un viaggio per 900 giornate, toccando 170 località e dando 1500 rappresentazioni, più ulteriori 300 fra il febbraio del 1928 e l'agosto del 1929. Le cronache del 1927 sono particolarmente ricche di suggestioni. Un giornale, nel mese di giugno, riporta infatti: Dio, cose inaudite! Ottomila persone davanti al monastero dei padri Gesuiti a Pinsk sfondano i ranghi di esercito e polizia. Due tetti cedono sotto il peso dei curiosi, perlopiù ebrei e bielorussi. Appena iniziato lo spettacolo, scende una fitta pioggia. Si pensa che la folla se la squaglierà e che lo spettacolo verrà interrotto. E invece cosa succede? [...] Di punto in bianco la gente tira fuori un centinaio di torce. [...] Immagine grandiosa! Ricamati di croci, i mantelli dei cavalieri sventolano al vento, sfolgorano nella luce dei riflettori. Piove, ma a nessuno degli ottomila spettatori è passato per l'anticamera del cervello di andarsene. Ecco come lavora una compagnia di idealisti. [...]. Quel che nelle marche orientali della Repubblica non sono riusciti a fare gli enti dello Stato, sarà sicuramente fatto da Reduta. Il 2 luglio 1927, a Vilnius, Osterwa presentava all'aperto, come regista e interprete di Fernando, Il principe costante di Calderòn-Slowacki: un evento per la Polonia dell'epoca, dove fu allestito nei luoghi più disparati e suggestivi per almeno ottanta repliche. Quando arrivò a Krzemieniec, la città del poeta nazionale Juliusz Slowacki, fu devotamente seguito da 15000 spettatori. Su un giornale si scrisse: La folla di fronte, una schiera di alberi a farle da sfondo, ecco la scena chiamata a far da centro di gravità dello spettacolo. Potrebbe sembrare un altare [...]. E' già calato il buio quando i timpani annunciano che lo spettacolo sta per cominciare [...]. All'ombra della notte, a riflettori spenti, nel vacillare scarlatto delle torce si scontrano il drappello spagnolo con quello dei mori [...]. A fare gli uni e gli altri si sono prestati due squadroni della nostra cavalleria in costumi d'epoca [...]. Quel che si ha dinnanzi agli occhi, quando vanno all'attacco, dispiegati da un lato all'altro dell'ampia piazza, illuminati dal brillio delle torce, è davvero straordinario. Zygmunt Nowakowski, un testimone di questa febbrile fase di lavoro di Reduta, rievoca ancora: Osterwa ha recitato dovunque. E l'avverbio dovunque è qui assolutamente al suo posto. [...] Ha recitato in località che non possedevano edifici teatrali [...], in cui vennero utilizzati come scena la sala d'aspetto e il buffet della stazione ferroviaria [...] Spesso e volentieri le condizioni tecniche imponevano agli attori e alle attrici di cambiarsi e truccarsi nel loro vagone, dal quale uscivano per recarsi in "teatro", attraversando la città col fango e la pioggia, ed era particolarmente strano vedere quella processione in cui si potevano incontrare Maria Stuarda e Rizzio, Feniksana e Mulej e Fernando e Zara e Estrella e Rosa... A Wlodzimierz Wolynski, al termine dello spettacolo sul mistero pasquale, una vecchia ebrea baciò la mano alla Kunina, che aveva interpretato la Madre di Dio [...]. La compagnia di Reduta viaggiava con un treno composto da un vagone passeggeri e un vagoncino merci per le scenografie, e con una buffa automobile che diventava l'unico mezzo di locomozione là dove il treno non arrivava. Era per Reduta un lavoro spaventosamente duro, in condizioni indicibilmente difficili sotto ogni aspetto. Così andava in giro per le terre di frontiera, Osterwa, deciso a teatralizzare la Polonia, a mostrare il teatro agli sguardi stupiti della provincia più profonda e dimenticata. In questo resoconto, c'è una dedizione al teatro che lo trascende, che capovolge l'estetica in una sorta di impegno esistenziale, nel quale lo spettacolo si trasforma da fine perfetto in strumento etico e popolare. In quest'aspetto, il Dio Selvaggio lascia già intravedere quel proficuo spreco di teatro di cui si è parlato per Eugenio Barba e i suoi baratti dagli anni Settanta in poi e che ha profondamente caratterizzato anche le instancabili peregrinazioni del Living Theatre o di Peter Brook nelle piazze più remote e difficili del mondo. D'altra parte, nel 1979, Jerzy Grotowski avrebbe ripreso questo programma redutiano in un più deciso sforzo di allontanamento dal teatro di mera rappresentazione e, non a caso, nel 1966, proprio il Teatro Laboratorio grotowskiano aveva esplicitamente assunto il simbolo di Reduta: " A mio avviso - aveva dichiarato il maestro polacco -, Reduta è stato il fenomeno più rilevante nel teatro fra le due guerre", tentando, forse ingenuamente, ma coraggiosamente, "di bandire dal teatro tutto ciò che apparteneva al frivolo ambiente artistico". Secondo Zbigniew Osinski, Reduta e il Teatro Laboratorio di Grotowski ricadono nella categoria dei "teatri sacri" e sono per questo - pur nelle marcate divergenze stilistiche e nei risultati - paragonabili, certo per la concezione del lavoro come "attività iniziatica", per una comune radicale avversione al concetto di teatro correntemente e profanamente inteso, fino al "superamento dei confini del teatro", e per un'idea dello spettatore concepito come testimone.