Sogno e crudeltà Un sogno era stato scritto da August Strindberg nel 1901 ovvero, più o meno, nel segmento temporale in cui Freud abbozzava una teoria del sogno. Si tratta però solo di un'accidentale sintonia, dato che l'autore svedese aveva in mente più il mistico Swedenborg e il pessimista Schopenauer che la psicologia del tempo. Il dramma si presenta, infatti, come una rielaborazione del concetto idealistico che la vita è un sogno e, narrativamente, nei termini di un pellegrinaggio sulla terra della figlia del dio indiano Indra, la quale - incrociando e vivendo le più varie situazioni esistenziali (e soprattutto l'impossibile convivenza dei sessi nel matrimonio) - arriva alla consapevolezza dell'inevitabilità del dolore di esistere, che implica in sé una possibilità di purificazione. La Nota che precede quest'opera curiosa è particolarmente significativa a livello di tecnica, fissando una sorta di modello drammaturgico onirico-itinerante, che avrà più di uno sviluppo nel posteriore teatro espressionistico e dell'Assurdo: L'autore in questo sogno drammatico riferendosi al suo precedente sogno drammatico Verso Damasco ha cercato di imitare l'incoerenza ma apparentemente logica forma del sogno. Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Tempo e spazio non esistono; su un insignificante fondo di realtà la fantasia fila e tesse nuovi motivi. Una mescolanza di ricordi, esperienze, libere invenzioni, assurdità e improvvisazioni. I personaggi si fendono, si sdoppiano, si moltiplicano, svaporano, si condensano, si sciolgono, si raccolgono. Ma una coscienza sta sopra ogni cosa, quella del sognatore; per quella non ci sono segreti, nessuna incongruenza, nessuno scrupolo, niente leggi. Lui non condanna, non assolve, si limita a riferire, e poiché il sogno è per lo più dolente, meno spesso felice, un tono di malinconia e di compassione per tutto ciò che vive percorre il vacillante racconto. Il sonno, il liberatore, si presenta spesso penoso, ma allorché la pena si fa insostenibile, sopravviene il risveglio che concilia il sofferente con la realtà, e per quanto tormentosa possa essere, comunque in quest'attimo è un sollievo, a confronto con il sogno tormentoso. Opera nella sostanza barocca, dalla scrittura esuberante e stilisticamente discontinua nel variare dei suoi registri dal sublime al volgare, che per di più implica continue dissolvenze scenografiche ed un numero considerevole di personaggi a rendere l'affresco screziato della tragicommedia umana, Un sogno aveva conosciuto relativamente poche, ma memorabili messinscene, fra le quali spicca senz'altro, nel 1921, quella carica di pathos e di atmosfere infernali di Max Reinhardt con attori svedesi, in seguito rimontata al Deutsches Theater. Solo nel 1928 giunse la prima francese del Theatre Alfred Jarry di Antonin Artaud, letterato vicino ai surrealisti, ma anche attore di varie esperienze, che si era formato con il profeta degli autori nordici Lugné-Poe e, soprattutto con Dullin e Pitoeff. Nel suo programma di sala, Artaud considerava Un sogno "parte del nostro repertorio di un teatro ideale" giacché "infinito è il registro dei sentimenti che vi si trovano espressi, raccolti [...]. E' veramente l'universalità dello spirito e della vita, di cui ci è offerto il fremito magnetico". Il Theatre Alfred Jarry - fondato da Artaud nel 1926 con Robert Aron e Roger Vitrac e precariamente attivo sino al 1928 per un totale di appena 4 spettacoli e 8 rappresentazioni - si riproponeva del resti di "riportare nel teatro il senso non della vita, ma di una certa verità che giace nel più profondo dello spirito. Fra la vita reale e la vita del sogno esiste un certo gioco di combinazioni mentali, rapporti di gesti, di avvenimenti traducibili in atti", e si trattava, antinaturalisticamente, proprio di restaurare "il senso della realtà vera del teatro", che "esiste a metà strada fra realtà e sogno", insito in tutto questo. Fin dai primi annunci dell'attività del Theatre Alfred Jarry, Strindberg (con Apollinaire) era indicato fra gli autori di repertorio. E' interessante come, partendo da Strindberg e in sintonia con lui, Artaud riesca ad articolare in stretta sintesi le teorie su un "teatro della crudeltà" che saranno organizzate nel celebre e composito saggio Il teatro e il suo doppio del 1938. Non c'è nulla di meno atto - scrive Artaud, commentando Un sogno di Strindberg - ad illuderci che l'illusione di falso accessorio, di cartone e di tele dipinte che la scena moderna ci presenta. E' necessario rendersene conto e non cercare di lottare con la vita. Nella semplice esposizione degli oggetti del reale, nelle loro combinazioni, nel loro ordine, nei rapporti della voce umana con la luce c'è tutta una realtà che basta a sé stessa e che non ha bisogno d'altro per vivere. Questa realtà falsa è il teatro; è questa che dobbiamo coltivare. Scivolando propriamente dall'estetica alla regia, Artaud scrive: La messa in scena del Sogno obbedisce dunque a questa necessità di non proporre nulla agli sguardi del pubblico che non possa essere utilizzato immediatamente e così com'è dagli attori. Personaggi a tre dimensioni che si muoveranno in mezzo ad accessori, a oggetti, in mezzo a tutta una realtà anch'essa a tre dimensioni. Il falso in mezzo al vero, ecco la definizione ideale di questa messinscena. Un senso, un'utilizzazione di un ordine spirituale nuovo dato agli oggetti e alle cose ordinarie della vita. Il Theatre Alfred Jarry rappresentava evidentemente la migliore incarnazione delle teorie del surrealismo, ma Artaud attraversava una fase di tensione con questo movimento, peraltro, all'epoca, assai più incline a predicare la rivoluzione sociale che a interessarsi agli spettacoli teatrali. Un sogno di Strindberg risultava per di più sovvenzionato da istituzioni svedesi, sicché, il 2 giugno, la sera del debutto al parigino Theatre de l'Avenue, Artaud dovette fronteggiare non solo la contestazione di qualche spettatore tradizionalista, ma soprattutto dei surrealisti. A questo punto, Artaud (che recitava la parte della Teologia) si affacciò alla ribalta per proclamare che Strindberg era "un ribelle" proprio come Jarry, come Lautréamont, Breton e lui stesso, concludendo: "Noi rappresentiamo quest'opera in quanto vomito contro la patria [di Strindberg], contro tutte le patrie, contro la società". Estrema l'indignazione degli svedesi presenti, ma, peggio - essendo stato evocato -, alla replica del 9 giugno, Breton (che disprezzava il teatro come arte mondana e decadente) si presentò in forze con i compagni surrealisti e - secondo un rituale collaudato delle avanguardie del secolo - in sala scoppiarono tafferugli. Nel Secondo manifesto del Surrealismo (1930), Breton avrebbe fulminato Artaud: Che un attore, attratto dal lucro e dal prestigio, si metta in mente di allestire con grandi mezzi un lavoro del vago Strindberg al quale egli stesso non dà la minima importanza, è cosa in cui, beninteso, non vedrei alcun inconveniente particolare, se quell'attore non avesse voluto farsi passare di tanto in tanto per un uomo di pensiero, di collera e di sangue, se non fosse il medesimo che, in questa o quella pagina di "Rèvolution Surréaliste", bruciava, a sentire lui, dal desiderio di bruciare ogni cosa, dichiarava di non aspettarsi niente se non "da quel grido dello spirito che torna verso sé stesso ben deciso a infrangere disperatamente le sue pastoie". Ahimè, per lui quello era solo un ruolo tra gli altri: "montava" Il sogno di Strindberg dopo aver sentito dire che l'ambasciata di Svezia avrebbe pagato (Artaud sa che posso provarlo), e che ciò bastasse a giudicare il valore morale della sua impresa, se ne rendeva ben conto, ma non importa. Artaud, lo rivedrò sempre tra due agenti, alla porta del Theatre Alfred Jarry, mentre ne lanciava altri venti su coloro che il giorno prima considerava i suoi soli amici, dopo aver negoziato al commissariato il loro arresto. Venendo allo spettacolo - in un comunicato ufficiale relativo allo scandalo -, le stesse autorità svedesi, per quanto imbarazzate, dovettero ammettere che era stato assai suggestivo e persino superiore a quello di Reinhardt celebrato a Stoccolma. Certo non mancavano i dettagli eccentrici, come quando il personaggio dell'Avvocato usava "una grossa doppia scala" su cui si arrampicava "per tirar giù il proprio cappotto liberamente sospeso a un attaccapanni al soffitto", ma, il giorno prima della messinscena, Emile Monchon ("Paris-Soir") aveva del resto sottolineato l'intenzione artaudiana di "stendere una rete sottile sugli attori, sugli spettatori, affinché tutti fossero prigionieri di una strana poesia, di un mondo misterioso di luce e di ombra, nel quale vivono realtà di un piano differente". Paul Achard ("Paris-Soir") ci informa ancora che la messinscena fu principalmente realizzata "con un minimo di mezzi e un massimo di luci". Protagonista era Tania Balchova, nella parte della Figlia di Indra e, nell'insieme, la compagnia fu giudicata volenterosa e, in qualche modo, apprezzata, ma Raymond Cogniat ("Chantecler") riteneva che solo Artaud (pur nel suo ruolo marginale) avesse evitato la declamazione: se il regista "avesse avuto interesse a far recitare i suoi attori su un tono più umano, visto che la differenza dei piani era sufficientemente precisata dalla scenografia, forse avrebbe conseguito una maggiore unità". Con Un sogno allestito da Artaud, si saldano in un circolo emblematico e con relativa casualità i nomi dei due padri del teatro novecentesco: Strindberg e Jarry, ovvero la visionarietà dello spettacolo astratto ed onirico moderno con il teatro come scandalo e paradosso (in questo caso di un regista anarcoide che si faceva proteggere dalla polizia, qualcosa che avrebbe divertito per l'appunto Jarry se fosse stato vivo).