Il fatto che, a partire dal 1880 autori drammatici come Strindberg, Zola, Schinitzler, Materlinck, Hofmannsthal, Wedekind e più tardi O'Neill, W.B. Yeats ed altri, si dedichino all'atto unico, non indica solo che la forma tradizionale del dramma appariva loro problematica , ma è già spesso il tentativo di salvare da questa crisi lo stile "drammatico" come stile della tensione rivolto al futuro. Il momento della tensione, il momento dell'"autoanticipazione" (E. Staiger), è ancorato, nel dramma, all'accadere intersoggettivo. E', in fin dei conti, l'elemento futuro che è essenziale alla dialettica interumana in quanto tale. Il rapporto intersoggettivo nel dramma è sempre unità di opposizioni che tendono alla loro risoluzione. La coscienza della necessità di questa risoluzione, il pensiero e l'azione anticipatrice delle dramatis personae per determinarla o per impedirla, danno luogo alla tensione drammatica, che deve essere distinta - ad esempio - dalla tensione di fronte ai segni premonitori di una catastrofe. Il fatto che il momento della tensione affondi le sue radici nella dialettica del rapporto intersoggettivo spiega perché la crisi del dramma implichi di necessità anche la crisi dello stile drammatico del teatro moderno. Isolamento e solitudine, come si presentano tecnicamente in Ibsen, Checov e Strindberg, acutizzano bensì i contrasti tra gli uomini, ma annullano anche l'impulso di eliminarli. Mentre l'impotenza dell'uomo, come è descritta da Hauptmann e Zola sul piano sociale e da Materlinck su quello metafisico, non lascia più affiorare contrasti e porta all'unità priva di dialettica di una comunità soggetta allo stesso destino. Si aggiunga che l'isolamento degli esseri umani porta, per lo più, con sé l'"astrazione e intellettualizzazione dei loro conflitti"; onde i contrasti acuiti fra gli esseri umani isolati sono già sempre, in un certo senso, superati in virtù dell'obiettività prodotta dall'intellettualizzazione. I drammi di Checov e di Hauptmann attestano la scomparsa della tensione in seguito a questi processi. Ma è nell'opera drammatica di Strindberg che risulta nel modo più chiaro che l'atto unico abbia il compito di permettere al teatro di raggiungere la tensione al di fuori del rapporto intersoggettivo. Si è già detto della posizione degli Undixi atti unici (1888-92) tra Il padre (1887) e il "dramma a tappe" Verso Damasco I-III (1897-904). Nel Padre appare chiaro che la forma tradizionale da svolgimento dell'azione non corrisponde più alla drammaturgia soggettiva. Tutto è visto in funzione del Capitano, e la lotta che sua moglie conduce contro di lui è diretta in sostanza dal Capitano stesso. Il gioco dei contrasti si svolge nell'intimo del Capitano, e non può più essere espresso mediante l'intrigo. Ecco perché, nel suo saggio L'atto unico (scritto due anni dopo Il padre, nel 1889), Strindberg giunge a rifiutare l'intrigo e quindi "la piéce che occupa u'intera serata": "Una scena, un quart d'heure: sembra questo ormai il genere di teatro per gli uomini d'oggi...". Ciò presuppone che l'atto unico differisca non solo quantitativamente , ma anche qualitativamente dal dramma "che occupa un'intera serata": nel modo in cui si svolge l'azione, e - in stretto rapporto con ciò - nel genere della tensione. L'atto unico non è un dramma di proporzioni ridotte, ma una parte del dramma che si è eretta a tutto. Il suo modello è la scena drammatica. Ciò significa che l'atto unico condivide con il dramma lo stesso punto di partenza - la situazione -, ma non l'azione, in cui le decisioni delle dramatis personae mutano continuamente la situazione originaria e tendono verso la risoluzione finale. Nell'atto unico, invece, la tensione non scaturisce più dall'accadere intersoggettivo, ma deve essere già insita nella situazione; e non come tensione virtual, che viene poi realizzata da ogni singola battuta drammatica (come la tensione nel dramma), ma la situazione stessa deve dare già tutto. Per questo motivo l'atto unico, se non vuol rinunciare del tutto alla tensione, sceglie la situazione limite, la situazione che precede immediatamente la catastrofe, già prossima al levarsi del sipario e che ormai non può più essere sventata. La catastrofe è un dato di fatto avvenire; onde non si determina più la tragica lotta dell'uomo contro il destino, alla cui oggettività egli possa opporre (nel senso di Schelling) la sua libertà soggettiva. Ciò che lo separa dalla fine è il tempo vuoto, che non può più essere riempito da nessuna azione, e nel cui puro spazio - teso verso la catastrofe - egli è condannato a vivere. Così l'atto unico si rivela, anche in questo aspetto formale, come il dramma dell'uomo non libero. L'epoca in cui nacque era quella del determinismo, che unisce gli autori drammatici che lo adottarono al di là delle differenze stilistiche e tematiche; che unisce, ad esempio, il simbolista Maeterlinck e il naturalista Strindberg. Degli atti unici di Maeterlinck - i dramas statuqeus - abbiamo già parlato. Ci resta solo da rilevare il tratto drammatico che essi devono alla situazione catastrofica. Nulla sarebbe più errato che inferire dalla loro staticità, che Materlinck accentuò programmaticamente, e dalla loro segreta struttura epica, la mancanza di quella tensione intersoggettiva; ma non esclude la tensione della situazione in cui sono messi, e che subiscono come vittime. Il tempo carico di tensione, in cui non può più accadere nulla, è riempito dalla paura affiorante e dalla riflessione sulla morte. Ne I ciechi e in Interno esso non è più neppure segnato dall'approssimarsi della morte, perché anch'essa è già stata; e l'intervallo di tempo è solo quello in cui la si apprende. E il tempo - come sempre quando non si realizza nell'azione - appare qui spazializzato: come via della conoscenza ne I ciechi, come via del messaggio in Interno. Ciò si realizza, scenicamente, nel progressivo annullamento della distanza tra i ciechi e la loro guida morta, che è già da tempo in mezzo a loro; e nella separazione fra la casa, apparentemente sicura, dove la famiglia attende tranquillamente la notte, e il giardino, dove due esseri umani sanno già del suicidio della figlia, ma esitano a varcare la barriera dando la notizia della morte. E il sipario cala quando il cammino della conoscenza o del messaggio è stato percorso fino in fondo, quando si viene a sapere dell'avvenuta catastrofe, quando è scoperta la premessa che determinava la tensione. Non è dissimile dai dramas statiques, nella sua concezione di base, l'atto unico di Strindberg Prima della morte (1892), che prolunga la linea tematica del Padre, e si può anzi considerare la trasposizione di questo dramma nella forma dell'atto unico, che, in quel periodo della sua attività, Strindberg riteneva potesse essere "la formula del dramma di domani". Dove le differenze permettono di capire che cosa distingue essenzialmente l'atto unico dalla "pièce che occupa un'intera serata", e perché esso possa prendere il posto del dramma divenuto ormai problematico. Il signor Durand, "direttore di una pensione ed ex impiegato delle ferrovie statali", è "l'uomo nell'inferno femminile", come il Capitano nel Padre. Ma essendo vedono non ha più nessun antagonista; dove si esprime la rinuncia di Strindberg all'intrigo e insieme l'accostarsi dell'atto unico - che non conosce più accadere alcuno - alla "tecnica analitica". Il cosiddetto "inferno femminile" è costituito dalle figlie del signor Durand che la madre ha educato contro di lui. Ma la sua rovina incombe dall'esterno, e non dalle figlie: la pensione che egli dirige è prossima al fallimento. Dove si esprime la sostituzione dell'intersoggettività con l'oggettività, e la nuova fondazione della tensione drammatica, che è determinata dalla situazione e non più dal conflitto fra un uomo e l'altro. E' vero che Strindberg non ci rappresenta il suo eroe in un'assoluta impotenza. Durand evita la bancarotta dando fuoco alla casa e avvelenandosi, perché le figlie, riscuotendo il premio di assicurazione, vengano a trovarsi in buone condizioni economiche; ma l'"azione" dell'atto unico non è una serie di eventi che sfocino nella decisione del suicidio, né l'evoluzione psichica che la precede, bensì la descrizione di una vita familiare minata dall'odio e dalla rivalità, l'analisi ibseniana di un matrimonio infelice, che acquista efficacia drammatia nella tensione della catastrofe imminente, anche senza l'aggiunta di una nuova azione. In altri atti unici di Strindberg, come Paria, Giocare col fuoco, Creditori, che si possono tutti definire drammi analitici senza azione presente secondaria, manca anche il momento di tensione della catastrofe incombente. La precipitazione drammatica nasce qui - è inutile nasconderlo - dall'impazienza del lettore o dello spettatore, che non tollera più l'atmosfera infernale che gli si rivela e fin dalle prime battute precorre col pensiero la fine, da cui spera la liberazione - se non per i personaggi del dramma - almeno per sé stesso. Ma bisogna ricordare anche qui che la forma dell'atto unico è stata adottata, nell'opera di Strindberg, in un momento di crisi. La comprensione del fatto che la drammaturgia soggettiva, rifiutando la rappresentazione diretta dell'accadere intersoggettivo, deve rinunciare anche allo stile della tensione, porterà Strindberg, dopo una pausa di cinque anni, alla tecnica epica dello "Stationendrama".