Un secondo tentativo di salvataggio prende le mosse dal dialogo. Si è già visto qual è il pericolo che lo minaccia: venendo meno il rapporto intersoggettivo, il dialogo si spezza in monologhi; predominando il passato, diventa la sede monologica del ricordo. Il tentativo di salvare il dramma salvando il dialogo si rifà all'opinione, un tempo assai diffusa nell'ambiente teatrale, è che autore drammatico è chi sa scrivere un buon dialogo. Si pensa di poter garantire un "buon dialogo" separandolo dalla soggettività le cui forme storiche lo minacciano. Se nel dramma autentico il dialogo è lo spazio comune in cui si oggettiva l'interiorità delle dramatis personae, qui esso viene estraniato ai soggetti e appare come qualcosa di autonomo. Il dialogo diventa conversazione. Il dramma-conversazione domina la drammaturgia europea, specie inglese e francese, dalla seconda metà dell'Ottocento. Come well-made-play, o piéce bien faite, esso prova le proprie qualità drammaturgiche e nasconde così quella che è la sua vera natura: la parodia involontaria del dramma classico. La sua negatività, il fatto cioè che esso, separato dal soggetto, è incapace di espressione soggettiva, si rovescia in qualcosa di positivo in quanto lo spazio dialogico rimasto vuoto si riempie di temi d'attualità. Il dramma-conversazione dibatte problemi come quello del diritto di voto delle donne, del libero amore, del divorzio, della mésailliance, dell'industrializzazione, del socialismo. Così, ciò che in realtà si oppone al progresso storico acquista una parvenza di modernità. Moderno e insieme esemplarmente drammatico, il dramma-conversazione rappresentava, all'inizio di questo secolo, la norma della drammaturgia; il teatro che cercava nuove forme per esprimere cose nuove doveva faticosamente staccarsene ed era confrontato criticamente ad esso. Solo in Germania il cammino verso le soluzioni epiche della crisi non era chiuso dalle barriere del dramma-conversazione, divenuto accademico, poiché non c'era una società tedesca ed uno stile di conversazione tedesco. Ma non bisogna trascurare il fatto che l'aspetto esemplarmente drammatico del dramma-conversazione era più apparente che reale. L'assolutizzazione del dialogo a conversazione si paga non solo sul piano qualitativo, ma anche su quello puramente drammatico. La conversazione, oscillando fra gli uomini, invece di legarli, è essa stessa non-vincolante. Il dialogo drammatico è irrevocabile, grave di conseguenze in ognuna delle sue battute. Come successione causale esso crea un tempo proprio e si stacca così dal corso del tempo. Di qui l'assolutezza del dramma. La conversazione è diversa. Essa non ha un'origine soggettiva né uno scopo oggettivo; non porta oltre, non trapassa in un'azione. Perciò non ha neppure un tempo proprio, e partecipa invece al decorso "reale" del tempo. Non avendo un'origine soggettiva, non può definire e caratterizzare individui. Come il suo tema non è che una citazione della problematica del giorno, così essa cita, nelle dramatis personae, i tipi della società reale. La tipologia della Commedia dell'arte è una tipologia interna al dramma, si riferisce ad una realtà estetica e non rinvia, quindi, oltre i limiti del dramma. La tipologia del dramma-conversazione risale invece a una tipizzazione sociale, e contrasta quindi all'esigenza di assolutezza della forma drammatica. Poiché la conversazione non impegna, non può trapassare in azione. L'azione di cui il dramma a tesi ha pur bisogno per potersi presentare come well-made-play, è presa a prestito dall'esterno. Capita al dramma, senza alcuna motivazione, in forma di avvenimenti inattesi: e anche questo contribuisce a distruggere la sua assolutezza. Il carattere puramente esteriore della sua drammaticità, che si aggiunge alla nullità tematica, giustifica appieno l'inserzione de dramma a tesi nel quadro di quella serie di tentativi di salvataggio del dramma che non osano affrontare di petto la crisi. Ma in questa critica radicale del dramma-conversazione non bisogna trascurare del tutto le sue possibilità positive; che si rivelano quando la conversazione si guarda allo specchio, quando passa da un impiego meramente formale a un impiego tematico. Sul duplice terreno del dramma conversazione e della commedia di carattere si erge quella che si può ben ritenere l'opera teatrale più perfetta della letteratura tedesca moderna: Il difficile (1918) di Hofmannsthal. Quest'opera si sottrae al vuoto ed a una tematica d'accatto non solo perché la nobile società viennese che essa ritrae vive essenzialmente nella conversazione; ma anche perché la conversazione è approfondita e trasformata dal protagonista, il conte Buhl, che è il solo personaggio moderno nella galleria di caratteri della grande commedia. In lui la conversazione diventa tematica, e dai problemi che essa pone emerge la problematicità del dialogo, anzi della lingua stessa. In modo diverso il linguaggio corrente francese si condensa in Aspettando Godot (1952) di Samuel Beckett. La limitazione - altrimenti solo formale - del dramma alla conversazione, diventa qui tematica: per gli uomini che aspettano Godot, questo deus non solo absconditu, ma anche dubitabilis, non resta, a conferma della loro esistenza, che il vuoto conversare. ma nel vuoto spazio metafisico, che fa diventare ogni cosa significativa, la conversazione priva di senso, che tende perennemente all'abisso del silenzio, e gli è sempre di nuovo e faticosamente estorta, è in grado di rivelare la miseria dell'uomo senza DIo. E' vero che, a questo stadio, la forma drammatica non cela più una contraddizione critica, e la conversazione non è più un mezzo per superarla. Tutto è a pezzi: il dialogo, l'insieme formale, l'esistenza umana. Valore espressivo, spetta più solo alla negatività: all'automaticità senza senso del discorso e al mancato adempimento della forma drammatica. Vi si esprime la negatività di un'esistenza in attesa di un'esistenza in attesa, che ha bisogno della trascendenza, ma non ne è capace.