Per rendere evidente anche scenicamente il vivere l'uno accanto all'altro (senza conoscersi) degli uomini del suo tempo, già Strindberg aveva presentato sul palcoscenico la facciata di una casa. Ma nell'insieme formale della Sonata degli spettri la funzione di questa trovata era di carattere secondario, anzi antitetico: anche se proprio in ciò che si rivela la contraddizione che sussiste ovunque, in quest'opera, fra il tema dell'isolamento e la forma drammatica. La casa d'affitto, coi suoi tanti luoghi d'azione, si limitava a svolgere le veci di un fondale, e la piazza antistante garantiva l'unità di luogo. E su questa scena all'aperto l'epicità della casa serrata perveniva a forma drammatica, attraverso la figura del direttore Hummel, che narra allo studente di passaggio - uno "straniero" -le vicende degli abitanti della casa. il processo epico, il fatto stesso di narrare, appariva così come azione drammatica. Due autori degli anni '20 tentarono invece di rappresentare direttamente l'epicità di questo vivere l'uno accanto all'altro, e di darle forma adeguata al di là del dramma: Georg Kaiser in Vicinanza (Neheneinander, 1923) e Ferdinand Bruckner ne I criminali (Die Verbrecher, 1929). La seconda di queste opere è particolarmente vicina alla Sonata degli spettri. Anche Bruckner mette in scena lo spaccato di una casa a tre piani. ma i tre piani costituiscono qui il palcoscenico; in Bruckner il sipario non si alza, come in Strindberg, su una piazza davanti alla casa, ma direttamente sui sette vani della casa divisi l'uno dall'altro. Si rinuncia così anche ai personaggi che dovevano mediare tematica epica e forma drammatica; il direttore Hummel, è, per così dire, revocato nella soggettività formale dell'opera , mentre lo studente è proiettato in avanti, nella platea, fra gli spettatori. La contrapposizione di questi due personaggi, che in Strindberg costituivano una situazione narrativa motivata all'interno della forma drammatica, diventa, in Bruckner, opposizione dell'io epico invisibile e dello spettatore, e cioè un nuovo principio formale. Anche il genere dell'azione subisce così un mutamento. La Sonata degli spettri, restando fedele alla forma drammatica, non poteva rappresentare la vita degli uomini l'uno accanto all'altro svolgendo parallelamente varie azioni. Solo nel primo atto la rappresentazione del loro isolamento era ancora possibile, perché essi non erano i protagonisti, ma solo l'oggetto del dialogo. Ma il secondo atto li riuniva nella "cena degli spettri" e accomunava i loro destini in un'unica azione drammatica. Diverso è il caso de I criminali di Bruckner. Al palcoscenico simultaneo corrisponde qui - nella dimensione temporale - lo svolgimento parallelo di cinque diverse azioni. E' vero che tra esse esiste un nesso. Ma non quello che la forma drammatica esigerebbe, cioè la loro connessione concreta in una situazione, bensì il loro riferirsi, ciascuna per conto proprio, a uno stesso tema, quello del rapporto e dell'incongruenza fra giurisdizione e giustizia. I criminali non è solo un'opera teatrale sulla vita degli uomini uno accanto all'altro, ma anche e nello stesso tempo un'opera sulla problematicità della giustizia. L'identità dei due temi in Bruckner traspare da un colloquio nel secondo atto. Due giudici discutono sull'essenza del diritto: IL PIU' ANZIANO: L'appartenenza reciproca degli uomini presuppone un diritto concordati. IL PIU' GIOVANE: Ed io ho constatato con certezza manifestazioni di appartenenza solo dove questo diritto concordato è messo a soqquadro, dove, cioè, si parla di criminali. La forma negativa è quella della squallida, egocentrica convivenza, dello stare a vedere, del disinteresse. Questi sono i soli, veri delitti, poiché essi nascono da indolenza del cuore e pigrizia della mente: la più perfetta negazione dei principi della vita e delle basi della società. Ma queste colpe non vengono punite. Le altre azioni, quelle opposte, sono espressioni della volontà di vivere, e già per cuò positive, ma in tutti i casi espliciti sono punite come crimini. L'inversione qui enunciata del rapporto tra comunione e isolamento, quanto a giustizia e ingiustizia, regola ed eccezione, validità e problematicità, tocca l'opera nel suo concetto formale ispiratore. La cornice formalmente non problematica del dramma è il rapporto inter soggettivo. Da questa cornice escono, rendendosi colpevoli di isolamento, l'eroe della tragedia, che compie la sua missione, e il personaggio comico, in preda alla sua idea fissa. Nell'ambito della non problematicità del rapporto inter soggettivo, la problematicità di un isolamento tematico - attuale appare quindi ai due estremi del dramma: la tragedia e la commedia. Diversamente nell'opera di Bruckner, che ha carattere epico. Qui la cornice non problematica è il vivere uno accanto all'altro, l'isolamento. Alla forma drammatica, all'assolutezza del fatto inter soggettivo, si sostituisce quindi la rappresentazione epica, la relativizzazione di fronte all'io epico di ogni esistenza isolata. Ed entro questo ambito la comunicazione fra gli individui diventa tematica, apparendo ora come eccezione e come pervertita in criminalità nel mondo della "convivenza egocentrica". Ma il recupero tematico dell'inter soggettività non può riportare in alcun modo l'opera epica al dramma: questo che costituisce un oggetto problematico, deve piuttosto figurare - all'interno della forma epica, che implica già un primo rapporto soggetto-oggetto - come oggetto in un secondo rapporto (questa volta tematico). Questa esigenza è soddisfatta dalla parte centrale del secondo atto: gli eventi del primo atto vi appaiono, oggettivati - ora - anche tematicamente, come materia di indagine giudiziaria. A questa concentrazione tematica corrisponde quella formale. Il primo atto espone, con libertà di accostamento e di successioni, l'avvio al delitto di alcuni abitanti della casa: una vecchia signora caduta in miseria vende i gioielli avuti in custodia dal cognato, per poter allevare i propri figli. Una ragazza vuole uccidersi assieme al figlio neonato, ma retrocede impaurita davanti alla morte, si salva e diventa così un'infanticida. Una cuoca uccide la rivale e fa cadere i sospetti su suo amante per vendicarsi anche di lui. Un giovane, perché non si sappia che è un omosessuale, depone il falso in tribunale a favore di un ricattatore. Un giovane impiegato sottrae il denaro dalla casa per poter viaggiare all'estero con la madre di un amico. Tutto ciò è descritto nel primo atto, non mediante un ingranaggio drammatico che colleghi fra loro le varie storie, ma mediante un accostamento senza nessi delle poche scene culminanti di ogni singola vicenda, che rimandano al passato e all'avvenire, e schizzano - più che rappresentare - i fatti veri e propri. Le scene non si generano da sé, come nel dramma, in una successione compatta e coerente, ma sono opera dell'io epico, che dirige la luce del suo riflettore alternativamente sull'uno o sull'altro vano della casa d'affitto. Lo spettatore coglie solo frammenti di dialogo; quando ne ha inteso il senso ed è in grado di immaginare da sé ciò che avverrà, il riflettore si sposta ed illumina un'altra scena. Così tutto è relativizzato epicamente e inserito in un atto narrativo. La singola scena non regna sola come nel dramma: la luce può lasciarla ad ogni istante e ripiombarla nel buio. Dove si esprime anche il fatto che la realtà non tende qui di per sé all'evidenza drammatica, ma deve essere invece dischiusa a forza in un procedimento epico. Certo quest'epica, non lasciando che il suo io prenda la parola come narratore, non può rinunciare al dialogo, ma fa sì che il dialogo si neghi da sé. Poiché il dialogo, infatti, non deve più rispondere del progresso dell'opera (che è garantito dall'io epico), esso può sbriciolarsi in monologhi cechoviani o rientrare addirittura nel silenzio, rinunciando quindi alla dialogicità come tale. Alla varietà del primo atto si contrappone l'unità del secondo. Anche se resta il palcoscenico simultaneo e se ai tre piani della casa d'affitto si sostituiscono quelli del tribunale penale, i singoli luoghi ed azioni sono fra loro in rapporto affatto diverso. La loro simultaneità è potenziata dalla loro identità, che appare evidente, davanti al tribunale. Le varie scene non ci mostrano più aspetti diversi della vita di una grande città, ma l'uniformità meccanica del procedimento giudiziario. Ne deriva di conseguenza un cambiamento formale. I cambiamenti di scena non sono più lasciati all'arbitrio del narratore epico, che si rivolge ora a questo, ora a quel gruppo di personaggi. Essenziale è, ora, che i frammenti dei vari processi si fondano nel quadro unitario del tribunale. E ciò avviene sopprimendo i passaggi mediante il principio della pseudo identità, come avviene nel gioco del domino. Un processo si interrompe alle parole del presidente: "Il fatto è evidente", la scena si oscura, si illumina un'altra aula del tribunale e lo spettatore è introdotto in un secondo processo con le stesse parole del nuovo presidente: "Il fatto è evidente". Con la stessa funzione sono impiegate in seguito le espressioni: "Chiedo al teste", "Conoscete l'imputato?", "La parola al Pubblico Ministero", "Il concetto di punizione perderebbe ogni valore...", "Qual è l'essenza del diritto?", "In nome del popolo...". Con queste frasi la scena trascende ogni volta la propria chiusa compiutezza drammatica: essa cita il mondo reale della legge, e trapassa - con questa citazione - in un'altra scena. Fra le due scene che si succedono non c'è un nesso organico, ma la continuità è simulata dalla connessione delle scene in funzione di un terzo a cui entrambe partecipano: il concetto di tribunale. Ma questo è un montaggio. All'importanza del montaggio nell'evoluzione formale si può solo accennare qui, poiché esso non rientra nella patologia drammatica, ma in quella dell'epica e della pittura. Il caso del monologue intèrieur , cui abbiamo accennato prima, mostra come nel ventesimo secolo l'epicizzazione della drammaturgia non consolidi la situazione dell'epica, e come, anche in seno a quest'ultima, si formino forze antitetiche. Non solo sono contrarie al ruolo tradizionale del narratore l'interiorizzazione e il suo corollario metodico: la psicologizzazione; ma lo sono anche l'estraniazione del mondo esterno e il suo correlato: la fenomenologia. E il montaggio è quella forma d'arte epica che rinnega il narratore. Mentre la narrazione eterna l'atto del narratore, e non spezza il legame con la sua fonte soggettiva (il narratore epico stesso), il montaggio si irrigidisce nell'istante in cui sorge e dà l'impressione di formare un tutto che nasce da sé stesso come il dramma. Al narratore esso rinvia solo come al proprio marco di fabbrica: il montaggio è il prodotto industriale dell'epica.