La rivoluzione irlandese Shaw era di origini irlandesi e si era trasferito ventenne nella capitale britannica nel 1876. In quello che, fino agli anni Venti, si denominerà il Regno Unito di Gran Bretagna (dominatrice) e Irlanda (riottosa colonia), non era però a Londra, bensì a Dublino che si avvertiva più profondamente la necessità di un rinnovamento del teatro, non solo sull'ovvio piano del recupero della lingua e di una cultura nazionali, ma persino su quello di una più intensa sperimentazione drammaturgica e scenica. Il poeta Williamo Butler Yeats - che abbiamo incontrato tra gli spettatori dell'Ubu roi all'Aeuvre - aveva immediatamente colto, nell'ambiente simbolista parigino di fine secolo, più di un segnale dell'epocale trasformazione in corso all'insegna del Dio Selvaggio: "lì probabilmente ho sentito parlare per la prima volta di scenografie che potevano decorare uno sfondo e suggerire una scena senza cercare di imitare la tecnica e gli effetti di un quadro da cavalletto.. Mi piace immaginare che questa innovazione me l'abbia comunicata proprio Strindberg". Nel 1923, in occasione del conferimento del Premio Nobel, Yeats rievocherà che, alla fine dell'Ottocento, "i teatri di Dublino non avevano nulla che potessimo chiamare nostro. Erano edifici vuoti affittati da compagnie inglesi di passaggio e noi volevamo testi irlandesi e attori irlandesi"; la risposta a una tale situazione di disagio politico e culturale non poteva che essere marcata da un "nazionalismo [...] romantico e poetico" in controtendenza rispetto alle dominanti correnti realistiche, ostili sia ai versi sia ai dialetti. In quest'opera di fondazione della scena irlandese, Yeats insisteva affinché il suo nome fosse incastonato in una trinità che comprendeva drammaturghi come Lady Gregory e John Millington Synge, con i quali era riuscito a portare "alla gente di città l'immaginazione e la parlata della campagna, tutta la tradizione poetica ereditata dal Medioevo". Insieme a Lady Gregory, Yeats aveva fondato, infatti, nel 1899, l'Irish Literary Theatre al fine di esprimere, al di là delle divisioni politiche, "le emozioni ed i pensieri più profondi" della nazione, rappresentandovi la sua Contessa Cathleen. L'opera, "costruita come un arazzo", era ambientata in un'antica Irlanda, terra sventurata, nella quale si arrivava ad evocare i demoni per alleviare le stringenti miserie di un popolo per il quale la nobile protagonista si offrirà infine come sublime olocausto. Sui presupposti di questa attività e creatività, nel 1902, attorno alla National Dramatic Company dei fratelli Fay, che - sempre sul fecondissimo modello di Antoine - avevano avviato un'impresa teatrale dilettantesca, nasceva a Dublino l'Irish National Theatre Society. Il teatro irlandese stava crescendo fra cospicue difficoltà: "Le salette in cui lavoravamo - ricorda Yeats - potevano accogliere al massimo duecento persone, e spesso non ne venivano più di venti o trenta, e gli spettacoli avevano luogo solo due o tre volte al mese, e meno ancora quando si litigava tra noi". La svolta si ebbe nel1904, allorché la compagnia nazionale cominciò ad assestarsi, su basi professionistiche, all'Abbey Theatre (in ex obitorio di Dublino, recuperato grazie al denaro di una bizzarra benefattrice di Manchester), sotto la guida di Yeats, Lady Gregory e Synge: " quanto abbiamo scavato nel profondo, ben al di sotto di ciò che è individuale, moderno ed inquieto, alla ricerca delle fondamenta di un'Irlanda che può giungere all'esistenza solo in un'Europa che ancora non è altro che un sogno". Yeats aveva incontrato John Millington Synge sempre a Parigi, nel 1896, e l'aveva subito riconosciuto come un genio eccentrico, malaticcio, "incapace di qualsiasi pensiero politico o fine umanitario"; anzi "era tanto poco un politico che il mondo lo muoveva solo al sorriso ed alla compassione". Drammaturgo libero ed irriducibile alle buone maniere, spesso contestato dal pubblico, Synge era il bersaglio ideale del moralismo nazionalistico, tanto più che il coevo movimento indipendentista irlandese avrebbe desiderato un controllo politico sul repertorio dell'Abbey, cui invece la trinità che lo guidava resisteva. Così, il 26 gennaio 1907, si osò la messinscena del Furfantello dell'ovest di Synge (1906), che esibiva addirittura volgarità ed arditezze di dialogo (l'allusione a donne in camicia da notte!) e certo non esaltava le virtù del popolo irlandese. Il dramma (il cui titolo originario suonava già significativamente The Murderer: a Farce) si avvia con l'improvvisa comparsa in una comunità isolata di un giovanotto, Christy Mahon, confesso di avere ammazzato il padre. Poiché - ricorderà Yeats - "è abitudine del contadino stare contro la legge", il delitto gli procura l'ammirazione delle donne, in particolare della volubile Pegeen Mike, figlia dell'oste Flaherty, dove Christy viene accolto come garzone, scalzando Shawn Keogh, promesso sposo della ragazza. Costui è in procinto di convincere il vanesio Christy a sparire in America, quanto, con la testa fasciata, riappare il padre, ch'era stato solo ferito, dando un serio colpo alla truce leggenda del figliolo. Chrissy, ormai gonfio di sé, aggredirà ancora l'ingombrante genitore con una vanga, finendo sulla forca, dove però viene liberato dal padre, di nuovo redivivo, che se lo porterà via: il vecchio divertito della stupidità umana, l'arruffato giovanotto - rimpianto da Pegeen - convinto di essere diventato un vero uomo. E' stato scritto che il dramma, tratto da un racconto delle isole di Aran, usava la conoscenza di Synge delle popolazioni dell'Irlanda occidentale e delle loro tradizioni "non solo per attaccare la falsa immagine che si aveva di esse da parte dei compatrioti e delle donne, ma anche per realizzare una convincente ambientazione nella quale esplorare il potere della lingua e delle immagini. Secondo Yeats, Synge aveva "descritto, con un simbolismo esagerato, una realtà che amava proprio perché amava ogni realtà", ma i suoi sentimenti, al debutto, non furono né compresi né apprezzati: "Pittoresco, poetico, fantastico, un capolavoro di stile e musicalità, opera somma del nostro teatro dialettale", Il furfantello dell'ovest scatenò al contrario "le ire del popolino. Dovemmo rappresentarlo sotto la protezione della polizia, l'ultima sera con settanta agenti in sala e cinquecento, secondo un giornale, a mantenere l'ordine nelle strade". Synge morì prematuramente nel 1909 e, negli anni successivi, Yeats avrebbe radicalizzato la propria ricerca sul teatro poetico sino alla collaborazione con Ezra Pound, orientata alla ricreazione della formula aristocratica del teatro Noh giapponese. Spesso, nel Novecento, il Dio Selvaggio si presenterà come una divinità orientale e Yeats, guardando al Giappone, intendeva perseguire un'idea di teatro senza teatro, senza scenografia, che esaltasse "la musica, la bellezza della forma e della voce", raggiungendo "l'apice nella danza pantomima". Yeats peraltro aveva sempre ritenuto che "il teatro avesse radici nel rito e non potesse restaurare la propria grandezza senza riportare le parole alla loro antica sovranità", aprendo la strada ad "una realtà non visibile"; ciò che avrebbe dovuto rendere il teatro "gioioso, fantastico, stravagante, capriccioso, bello, sonoro e del tutto spericolato". Yeats contrastava così l'idea di un teatro realistico in quanto "teatro secolarizzato", che poteva solo prospettarsi "volgare, semplicemente divertente, semplicemente ammiccante", mentre - attingendo allo spirito della terra d'Irlanda - intendeva "restaurare una scena antica", tramite una recitazione essenziale, ritmica, attenta a far percepire la metrica se alle prese con un testo lirico. Yeats chiedeva altresì una scenografia che non andasse "al di là di una tela" o di qualcosa che "vagamente indicasse l'immagine mentale del poeta", che avrebbe dovuto, a sua volta, informare la declamazione stessa degli attori. Se ha ragione Gosta M. Bergman a ritenere che, "con l'eccezione di Gordon Craig, il teatro inglese del primo quarto del Novecento è piuttosto povero d'impulsi", già nel 1902 è l'irlandese Yeats - sui presupposti antirealistici che stiamo evidenziando - a riconoscere pienamente il genio di questo teorico e scenografo, non esitando ad affermare di "avere imparato tanto" da lui. Certo le teorie di Craig si prestavano a creare fascinose sinergiecon una concezione del dramma ritmico-poetico e del Noh giapponese e Yeats lo illustra bene in uno scritto del 1016: Per circa tre secoli l'invenzione teatrale ha reso la voce umana e i movimenti del corpo sempre meno espressivi. A lungo sono rimasto sconcertato per il fatto che brani commoventi, se letti a voce alta o declamati durante le prove, appaiono soffocati e spenti durante la rappresentazione. Ho semplificato lo scenario, rappresentando La clessidra per esempio, ora davanti a cortine verdi, ora fra le mirabili quinte color avorio ideate da Gordon Craig. Ad ogni semplificazione la voce ha riacquistato qualcosa della sua importanza... Craig, a partire dal 1907, aveva sperimentato con gli screens ovvero con la scena dal "volto espressivo": "La creazione di un palcoscenico più semplice è il primo dovere di un Maestro del Dramma", scriverà Craig, che perseguiva essenzialmente il concetto scenico di "immagine in azione". Gli screens trovano una faticosa applicazione pratica, nel gennaio del 1911, all'Abbey Theatre per un dramma di Lady Gregory abbinato alla ripresa della Clessidra di Yeats. Alla prova, non si rivelarono affatto semplici da manovrare e la speranza di Yeats che sarebbero stati "una nuova partenza che immetteva nuova forza" nel teatro irlandese restò parzialmente delusa. In ogni caso, per Yeats, l'imponenza dell'apertura scenica e gli effetti potenti di luce e di ombra di una grande sala teatrale correvano il rischio di alienare la potenziale e magnifica risonanza di "un vero teatro della bellezza", giacché "la misura della grandezza di tutte le arti può risiedere solo nella loro intimità": Mi sono trovato a pensare ad attori che forse avevano bisogno di srotolare soltanto una stuoia in un giardino orientale. E non ho provato questa sensazione quando ascoltavo le parole, ma persino ancor più osservando il movimento di un attore o sentendolo cantare in un dramma. io amo tutte le arti che ancora mi possono rammentare la loro origine fra gente comune, e le mie orecchie si sentono confortate solo quando il cantore canta come se la pura parola avesse preso fuoco di colpo, quando egli sembra passare al canto impercettibilmente. [...] Dovrebbe essere di nuovo possibile per pochi poeti scrivere come tutti fecero un tempo, non per la pagina stampata, ma per essere cantati. Per Yeats è inevitabile, a questo punto, prendere "lezioni dall'Asia" (con motivazioni che non paiono estranee, una volta di più, a istanze come la valorizzazione della maschera, proprie di Craig): Per le consuetudini della scena, per volti più formali, per un coro che non partecipi all'azione, e forse per quei movimenti del corpo ispirati agli spettacoli di marionette del quattordicesimo secolo. Una maschera mi permetterà di sostituire la bella invenzione di uno scultore alla faccia di un banale attore, o quel volto dipinto in modo da adattarsi alla sua volgare fantasia; e così di portare il pubblico tanto vicino al dramma da poter ascoltare ogni inflessione della voce. Una maschera non sembra mai solo una faccia volgare, e non importa quanto le andiate vicino, è sempre un'opera d'arte; né perderemo con la sua fissità il mobile gioco dei lineamenti, perché il sentimento profondo viene espresso da un movimento dell'intero corpo.