Miracoli marxisti Sebbene, con la prima guerra mondiale, si spegnesse la stagione più dirompente del nostro futurismo, ancora nella sua conferenza sullo Spirito nuovo Apollinaire localizzava gli "eccessi" dell'arte moderna nei poli futuristi italiano e russo, a suo parere insensibili al "significato lirico, tragico o patetico" della poesia. Marinetti aveva visitato la Russia nei primi mesi del 1914, ma aveva dovuto confrontarsi con una spiccata vocazione locale a creare un futurismo autonomo da quello italiano, che si manifestò, del resto, nelle eterogenee declinazioni particolari dell'egofuturismo e soprattutto del cubofuturismo. Dal 1912, uno degli esponenti più in vista del futurismo russo era il poeta e drammaturgo Vladimir V. Majakovskij, che sposò con entusiasmo la rivoluzione comunista del 1917, rimarcando ancor di più le differenze da Marinetti: dal punto di vista "ideologico - affermava infatti - non abbiamo niente a che spartire l'un con l'altro". L'influsso futurista anche sul teatro russo fu tuttavia penetrante. Nel 1910, un Mejerchol'd tutt'altro che schizzinoso nei confronti della diffusione dei cabaret in Russia, aveva osservat: "Lo spettatore che ha già al suo servizio le ferrovie elettriche e il telegrafo senza fili e domani disporrà dell'areoplano, si entusiasma adesso per i trucchi del cinema. Questo spettatore desidererebbe che Maeterlinck gli fosse presentato con i ritrovati della tecnica cinematografica". La costituzione dell'"universo futurista", tramite "la ridefinizione di relazioni e strutture", dentro e fuori i teatri, operata dal movimento di Marinetti, aveva ormati trasformato il palcoscenico in uno spazio sia di "presenza" sia "didattico", finendo per modellare, al fi là delle sue intenzioni, anche l'"agit-prop-styile propaganda" delle rivoluzioni europee. Il teatro di agitazione e propaganda troverà così una significativa espressione nel Mistero buffo di Majakovskij, rappresentato il 7 novembre 1918 al Teatro del Dramma Musicale di Pietrogrado. La regia era di Mejerchol'd, il quale avrebbe ricordato che, fin dal primo incontro con Majakovskij, non s'era riscontrata "nessuna distanza": "egli mi trattò senza alcun rispetto, ed era ben naturale. C0eravamo subito intesi sul terreno della "politica" e nel 1918 era questo che contava: per ambedue l'Ottobre significava l'uscita dal vicolo cieco dell'ambiente intellettuale" e Mistero buffo era "stato scritto per il proletariato". Mejerchol'd, di fatto, si era ormai lasciato alle spalle una brillante esperienza presso i teatri imperiali, per immergersi nel flusso della rivoluzione (ovvero del suo "Ottobre teatrale"), fedele tuttavia ai principi di un "teatro della convenzione", pregno degli artifici e della buffoneria della Commedia dell'Arte, che aveva sperimentato embrionalmente nello Studio voluto da Stanislavskij e, nel 1906, allestendo La baracca dei saltimbanchi di Aleksandr A. Blok. In uno scritto programmatico del 1907, Mejerchol'd riepilogava in questi termini le peculiarità del "teatro della convenzione": liberazione dell'attore dalla scenografia, "mettendo a sua disposizione uno spazio a tre dimensioni e la naturale plasticità statuaria"; abolizione della ribalta e abbassamento della scena al livello della platea (ma anche possibilità di recitare in una piazza), impostando in parallelo "la dizione e il movimento degli attori sul ritmo" in direzione di una sorta di danza scenica; superamento del regista-tiranno in favore di una figura che (senza strettamente dipendere dall'autore e quello dell'interprete"; messinscena per accenni, per cui "lo spettatore è chiamato a completare creativamente con la propria immaginazione" lo spettacolo, senza dimenticare mai di trovarsi in un teatro. Su questi presupposti non era difficile, per Mejerchol'd, riconoscere in Majakovskij l'interlocutore ideale per un teatro politico, che si presentasse insieme "straniato e dinamico", costituendo una formula scenica - come appunto affermava il poeta -, nella quale "i drammi non sono capolavori artistici", ma "armi in un conflitto", bisognose peraltro di farsi affilare dagli interventi di "un ampio collettivo". Le scenografie di Mistero Buffo erano di Kazimir S. Malevic e facevano temere al cauto Lunacarskij - in un articolo che sollecitava la partecipazione popolare all'evento montato nell'anniversario della Rivoluzione - "l'eccessivo virtuosismo dei pittori futuristi". Il critico, a dire il vero, era sospettoso in generale dell'impopolarità degli stili futuristi, "inclini alle buffonate, alle acrobazie, a tutto ciò che è insolito", ma non poteva non definire Mistero buffo "l'unica opera scritta sotto l'influenza della nostra rivoluzione, e che pertanto ne portava impresso il suggello. [...] E' audace, aggressiva, stimolante". Si trattava, infatti, della parodia di una sacra rappresentazione a sfondo biblico, volutamente ingenua e zeppa di miracoli marxisti. I sopravvissuti al diluvio universale, sull'arca, si suddividono in due gruppi: i puri (ovvero i potenti della terra) e gli impuri (i proletari), subito confinati nella stiva. I primi nominano zar il Negus abissino, che tuttavia è solo capace di saziarsi delle loro provviste. A questo punto, i puri si rendono conto dell'inattualità dell'autocrazia e, dopo aver liberato gli impuri, proclamano una repubblica democratica, che si rivela altrettanto fallimentare. Gli imputi allora s'impossessano dell'arca e- come riassume Lunacarskij - comincia "un allegro viaggio simbolico attraverso l'inferno e il paradiso, dopo il diluvio rivoluzionario, compiuto dalla classe operaia, che [...] raggiunge la terra promessa". Questa, dopo la distruzione del vecchio universo (noioso Paradiso compreso), si materializza come meravigliosa metropoli industriale del futuro, infine liberata dalle forme dell'alienazione capitalista. "Tutto è espresso in un linguaggio polemico, proprio, sonoro, così che ad ogni passo si incontrano modi di dire che forse diventeranno di uso corrente". La messinscena del 1918 di Mistero Buffo, montata in gran fretta e con attori non professionisti, conobbe particolari difficoltà, cui avrebbe dovuto supplire lo stesso Majakovskij, accollandosi le parti di ben tre attori. Scrive Angelo Maria Ripellino: Le scene di Malevic combinavano strutture architettoniche e fondali decorativi. Un grande emisfero di colore oltremarino designava il globo terrestre, forme cubiche suggerivano l'arca. L'inferno era una sala gotica rosso-verde, e il paradiso, dai toni grigi, allineava variopinte vesciche di nuvole. Una tela suprematistica, un ampio arco e l'ossatura di una macchina indicavano la Terra Promessa. La dizione monotona e salmodiante degli "impuri", vestiti tutti di grigio, arieggiava le melodeclamazioni che si tenevano allora al Proletkul't di Pietrogrado. Sempre fra mille difficoltà e polemiche con gli stessi organismi sovietici, il 1° maggio del 1921, alla testa di un proprio rivoluzionario Teatr RSFSR, Mejerchol'd (insieme al suo assistente Bebutov) avrebbe curato una riedizione di Mistero buffo. In questa occasione, Majakovskij presentava un consistente rimaneggiamento del testo-canovaccio in chiave, se possibile, più militante e con l'accentuazione di certi caratteri clowneschi (l'opera, in seguito, sarebbe stata rappresentata anche nei circhi). In particolare, la nuova edizione enfatizzerà la "realizzazione puntale dell'utopia dell'integrazione dell'arte nella vita", prevedendo la fusione del pubblico con gli attori, in sintonia con i grandi spettacoli di massa ormai caratteristici della Russia rivoluzionaria. Nel 1927, rievocando la messinscena del Teatr RSFSR, il critico Aleksei A. Gvozdiov confermava: "Si trattava di uno spettacolo di massa. Una costruzione si lanciava verso l'altro perdendosi oltre il soffitto del palcoscenico e, scendendo, sconfinava nella sala. Ma la forza dello spettacolo non consisteva nella sua perfezione formale, bensì nel violento attacco sferrato contro il teatro apolitico e nella poderosa espressione teatrale del pothos rivoluzionario". Si è scritto che Mistero buffo realizza pienamente l'"opera d'arte totale" di un teatro che sostituisce alla visione intima, "dal buco della serratura", l'amplificazione antipsicologica della "lente d'ingrandimento". Nonostante tutte le ovvie distanze ideologiche, è però impossibile non rilevare che, in questo teatro di Majakoviskij-Mejerchol'd, restano più che mai attive e propulsive sia le istanze carnevalesche implicite in Marinetti, sia la mobilitazione sovvertitrice tipica delle serate futuriste.