Fra il Mistero e l'Arlecchinata Il 12 dicembre 1914, a Mosca, Aleksander Tairov, attore e regista che si era formato con Mejerchol'd, inaugurava con l'attrice Alisa Koonen (sua futura moglie) e un gruppo di giovani interpreti, il suo Kamerniy Teatr (Teatro da Camera), una scena che avrebbe affannosamente tutelato, fino al 1949, la propria autonomia artistica, in frangenti storici che, con l'affermazione dello stalinismo, si fecero sempre più ostili. Lo spettacolo d'esordio fu Sakuntala dell'indiano Kalidasa, inscenato con la curiosità "di scoprire per primi i segreti e i personaggi del teatri indiano". Avverso al naturalismo, schiacciato sulla letteratura, quanto al "teatro di stile" mejercholdiano (dei primi del Novecento) "prigioniero della pittura", per cui l'interprete rischiava di diventare solo una "macchia colorata", donde una fatale rarefazione del gesto e del sentimento (che andrebbe invece conservato), Tairov esaltava la tridimensionalità del corpo dell'attore, anzi di un "nuovo attore-maestro", che operava nella cornice di un "teatro sintetico". Tale formula deve essere in grado di unire "organicamente tutti i generi dell'arte teatrale, cosicché in una stessa rappresentazione si possano trovare in una struttura teatrale unita ed armoniosa tutti gli elementi che prima erano tenuti separati artificialmente, quali gli elementi della parola, del canto, della pantomima, della danza e addirittura del circo". Tairov trova addirittura "pusillanime" e antiteatrale la teoria craighiana della Supermarionetta e le oppone il "superattore" professionista, con una scuola alle spalle almeno pari a quella dei più abili ballerini: " E come se esiste un corpo di ballo nel balletto, così dovrebbe esistere altrettanto un corpo di dramma nel teatro drammatico accanto a primattori e alle primedonne". Per Tairov, l'attore deve essere capace di dominare una tecnica interiore (come "sviluppo della sua volontà e della sua fantasia creativa" tramite soprattutto l'improvvisazione, che conferisce il pieno contatto con il partner scenico insieme alla consapevolezza che non esiste una quarta parete rispetto al pubblico) e una tecnica esteriore, in grado cioè di articolare un linguaggio teatrale che concili il principio ritmico con quello dinamico, poiché "nell'azione scenica devono evidenziarsi il linguaggio e il gesto, ognuno con il suo particolare ruolo e la sua intenzionalità. Solo in questo modo si può ottenere la plastica forza dell'espressione". Gli allestimenti di Tairov erano importanti al principio dell'"orchestrazione dell'opera", mirante a distinguere la sua "pulsazione ritmica", al fine altresì di sbabilire "il suo suono e la sua armonia", ed erano montati con scenografie che elaboravano quello spazio cubico che valorizzava la tridimensionalità del corpo dell'attore: la scena doveva adattarsi al ritmo dei movimenti e dei gesti dell'attore, a partire da un piano scenico discontinuo. Tairov riteneva che "la giusta azione teatrale si muovesse sempre fra due poli, il mistero e l'arlecchinata", ma il suo repertorio eccelse anche nella tragedia (memorabile una monumentale Fedra di Racine del 1922, strappata alle galanterie barocche e ricondotta al mito arcaico, riconsiderato nella severa atmosfera delle rivoluzioni moderne). Nei momenti più difficili, Tairov si adattò pure ai drammi sovietici di propaganda, ma brillò forse particolarmente nel genere leggero. In una polemica volutamente esagerata con Craig e con Mejerchol'd, Tairov riteneva la letteratura drammatica solo un "materiale" utilizzabile per "creare un'opera nuova ed autonoma" e amava cercare temi al di fuori di essa a contatto con "forme sceniche non ancora compiute", non limitanti l'attività creativa. In questa chiave, uno dei suoi spettacoli più significativi può essere considerato La principessa Brambilli, tratto da un romanzo di Ernst T.A. Hoffmann, che debuttò il 4 maggio 1920 con scene "cubo-futuriste barocche" di Georgy Yakulov. Questo spettacolo sarebbe stato denominati "un capriccio del Teatro da Camera". La principessa Brambilla di Hoffmann (1820) è un romanzo breve ispirato in primo luogo alle incisioni fantastiche delle maschere secentesche di Jacques Callot. Si tratta, a sua volta, di un "capriccio" romantico, che nell'essenza si concentra sulla storia d'amore dello squattrinato attorucolo Gliglio Fava con la povera bella sartina Giacinta Soardi. La trama però è complicata dallo sdoppiamento e dallo smarrimento delle identità dei protagonisti nel colorato disordine del carnevale romano, evocatore di sensualità. Il gioco teatrale, intricatissimo, che vede i due giovani identificarsi con un bizzarro principe assiro, tale Cornelio Chiapperi, e con una principessa da favola (che dà il titolo all'opera), è rilegato dagli artifici del ciarlatano Celionati. Al termine di molteplici travestimenti e labirintiche peripezie, Gliglio e Giacinta convolano a giuste e felici nozze, ma soprattutto a un'ironica consapevolezza della propria realtà esistenziale. Lo spettacolo di Tairov era basato su un semplice scenario e mirava a catturare la fantasia dello spettatore, attirandolo in una fantasmagoria scenica, mossa dal ritmo della tarantella e del saltarello, che fu esteso anche alla vocalità. Questa diffusa orchestrazione attingeva un apice esemplare nella lunga pantomima innestata nel secondo atto e arieggiante, una volta di più, la Commedia dell'Arte. Ricostruisce Thomas J. Torda: Arlecchino vi è trasformato in uno spaventapasseri, fatto a pezzi dal Dottore e le sue membra sono sparse per il palcoscenico per poi essere riassemblate "magicamente" in un redivivo e danzante Arlecchino. L'intera pantomima al principio era stata costruita ritmicamente sulla scena ed aveva trovato in seguito il suo giusto completamento armonico nella musica di Henri Forterre, che non sarebbe stata composta finché la pantomima non si fosse essenzialmente assestata. Lo spazio scenico era tenuto sgombro nella parte centrale, mentre le aree di proscenio erano occupate da piattaforme di mezzo metro di altezza; al fondo del palcoscenico si segnalava una lunga e più elevata piattaforma con un riferimento stilizzato di un palazzo, collegata al piano scenico da una scala a spirale. La forma della spirale imprimeva un ulteriore ritmo al complesso dell'apparato sino ad offrire agli attori un'opportunità di modulare in armonia i loro movimenti danzanti. C'erano inoltre due balconate al di sopra delle piattaforme di proscenio, usate per le scene di metamorfosi. Cromaticamente, la scenografia risultava "scintillante e screziata", nello spirito delle arlecchinate e, del resto, "molti dei cambi ritmico-emozionali dell'azione erano rinforzati dall'uso di striscioni mobili variamente colorati, che evocavano la festosità e lo sfarzo di una sfilata carnascialesca". Nonostante la regia esaltasse l'azione degli attori, i cui costumi, per assecondarne i movimenti, calzavano "come guanti", non mancavano effetti di luce di potente suggestione. Ricorda un testimone che, quando Giglio cade in un duello col il suo doppio, "un raggio purpureo si proiettava dalla buca del suggeritore, sollevando enormi ombre sullo sfondo"; quindi, "i personaggi si muovevano dalla tenue gradazione verde ai lati nel raggio purpureo centrale per poi riuscirne". Ha scritto un critico dell'epoca, Abram Efros: La principessa Brambilla fu lo spettacolo dell'intero gruppo del Teatro da Camera. Un'esplorazione di un insieme di ritmi, di dinamiche trionfali, di metamorfosi carnevalesche [...] e uno dei più brillanti spettacoli cui abbia avuto l'opportunità di assistere. [...] Il metodo dello scenografo Yakulov potrebbe essere definito [...] "simultaneismo": gli oggetti apparivano, da tutti i lati, per un po' come nell'intervallo dato dalla rotazione intorno ad un asse. Così, nel movimento rotatorio di maschere e mantelli, sulle piattaforme circolari che spuntavano qua e là a varie altezze, fra tondeggianti colonne, in mezzo a spirali e volute elicoidali, alla luce di raggi iridescenti che inondavano il palcoscenico con un cangiante spettro cromatico, era il vortice degli attori a portare a termine ciascun atto. Nell'insieme, "non c'era alcun tentativo di rappresentare obiettivamente luoghi o fatti; piuttosto erano rappresentati soggettivamente, come se la rappresentazione avesse luogo nella mente di Giglio riflessa attraverso l'immaginazione di Hoffmann". La principessa Brambilla può considerarsi un prodotto di visionaria mirabile sintesi di romanticismo e di Commedia dell'Arte, costruito da un regista fedele a un teatro "gioiosamente" animato dal "super-attore", suscitatore di un'"arte bella e perfetta". Dopo tutto, Tairov (non diversamente da certo Reinhardt) sosteneva che il "Teatro è teatro", proponendo una declinazione della "teatralizzazione del teatro", nella quale lo spettacolo aveva una ragion d'essere assoluta, tanto che- contraddicendo una diffusa sollecitazione futurista - lo spettatore, per lui, non era impegnato ad "avere una parte attiva nell'opera d'arte scenica", che tuttavia doveva "ricevere in modo creativo". Se ci distacchiamo dal tempio dell'arte del Teatro da Camera e consideriamo lo sfondo degli eventi drammatici che percorrevano, nel 1920, la Russia rivoluzionaria, squassata dalla guerra con la Polonia e dalla cruenta resa dei conti con le armate dei Bianchi, La principessa Brambilla può apparirci irrimediabilmente fuori dalla storia, ma, a ben vedere, forse anche come un gesto di negazione, se non di salvezza estetica, del Dio Selvaggio contro i furori della storia.