Forma pura Fra le tante conseguenze della prima guerra mondiale, la Polonia, tra il 1918 e il 1920, dopo oltre un secolo di dominazioni straniere, tornava ad essere una nazione indipendente. Per quanto giovane e composito fosse il nuovo Stato e precaria la sua posizione geopolitica, il contributo della Polonia al teatro del Novecento sarebbe stato di primissimo piano. Del resto, come per l'Irlanda, il teatro era un bisogno identitario fortemente sentito dai polacchi e, nel primo lustro degli anni Venti, non a caso, sul territorio della giovane nazione si passò da una dozzina di scene alla proliferazione di oltre sessanta. Anche la Polonia ebbe i suoi futuristi e, attorno al 1922, il suo richiamo all'ordine dalla cosiddetta Avanguardia di Cracovia, ma la tendenza più originale e significativa, più propriamente nazionale e profetica di quel che sarebbe accaduto dal 1939 in poi, fu il cosiddetto "catastrofismo" (con addentellati nell'espressionismo): un atteggiamento intellettuale dalle "tendenze apocalittiche", che, nel dramma, ebbe uno straordinario rappresentante in Stanislaw Ignacy Witkiewicz (detto Witkacy). Ha scritto il filosofo Roman Ingarden: Il fatto che la nostra vita spirituale sorga da qualcosa di cui non trova in realtà nessun appoggio né spiegazione, che il suo apparire sembri un caso assolutamente sprovvisto di senso...che ci minacci in ogni momento la caduta nell'abisso di una vita puramente animale...- questa era la fondamentale consapevolezza che destava in Witkiewicz un terrore ed uno sgomento essenziali...Da tale sgomento, da tale shock, svegliato in lui da questa fondamentale consapevolezza, nasceva non solo la sua arte, ma anche la sua filosofia e il suo dibattersi nella vita. Witkiewicz fu un brillantissimo genio autodidatta e leonardesco, interessato alla filosofia come a una pittura ispirata a Gaugin, Picasso e Kandinskij, che, nel 1914, accompagnò l'etnografo Bronislav Malinowski nella sua spedizione in Oceania. Ufficiale della guardia imperiale, in Russia, negli anni di guerra e della rivoluzione, venne in contatto con l'esuberante avangurdia di quella nazione e, nel 1919, lanciò un importante manifesto: l' Introduzione alla teoria della forma pura in teatro. In esso, Witkiewicz (che, nell'opera d'arte, riteneva che la forma fosse il contenuto) sosteneva che il teatro, in quanto arte composita, doveva mirare all'unitarietà di una Forma Pura ovvero di una sorta di deformante, ma ricompositiva astrazione. Del resto, compito essenziale del teatro "è proprio quello di introdurre lo spettatore in uno stato d'animo particolare che gli consenta di comprendere a livello emozionale il Mistero dell'Esistenza". Quanto all'attore, in tale contesto, "non dovrebbe esistere; dovrebbe essere un elemento dell'insieme". Peranto: Il teatro odierno dà l'impressione di qualcosa di irrimediabilmente occluso, che si può liberare solo se si introduce qualcos'altro che chiamerei la fantasia della psicologia e dell'azione. La psicologia dei personaggi e le loro azioni devono essere un pretesto per una pura successione degli avvenimenti; bisogna solo ricordarsi che la continuità della psicologia dei personaggi e delle azioni rispetto alla vita non deve essere l'incubo sotto la pressione del quale si struttura l'opera teatrale. E' l'ora di farla finita con questa maledetta coerenza dei caratteri e con questa verità psicologica che sbuca addirittura da tutti gli angoli. Witkiewicz chiede quindi un teatro che si incammini "sulla via dell'insaziabilità della forma, da cui finora è rifuggito". In tal modo, "nella dimensione della Forma Pura", uscendo da uno spettacolo, si avrà "l'impressione di svegliarsi da un sonno strano nel quale anche le cose più ordinarie avevano il fascino strano, impenetrabile, caratteristico del sogno e che non può paragonarsi a nient'altro", avendo vissuto l'esperienza di un dramma il cui epilogo può "essere ritenuto necessario alla creazione di intrecci formali puramente sonori, scenici, o psicologici ma liberi da una causalità reale". Come ha riassunto un altro grande autore polacco, Witold Gombrovicz, Witkiewicz cercava "una composizione di effetti puri (come nella musica, in cui non ci chiediamo quale contenuto esprima una sinfonia e ci basta sentire un fortissimo degli strumenti a percussione dopo un pianissimo degli archi)"; effetti che "determinano esclusivamente l'evocazione di un brivido metafisico". Possiamo considerare Witkiewicz l'alfiere dell'astrattismo drammaturgico. Infatti, sebbene il suo discorso possa quasi leggersi, per certi versi, come un'anticipazione di Artaud e l'autore polacco fosse tutt'altro che indifferente alla prassi scenica (fra il 1925 e il 1927 lo troviamo infatti a capo di un teatro formista a Zakopane), va tuttavia sottolineato che le sue teorie sulla forma pura erano soprattutto orientate alla trasformazione in chiave antimimetica della scrittura drammaturgica, nella quale, l'elemento verbale restava il cardine. Non a caso la sua teoria si colloca al principio di una produzione di drammi che si concentrò fra il 1918 e il 1926 e che è stata paragonata da Kostanty Puzyna alla creazione di un "supercabaret modernistico", memore del "supercabaret" dell'Ubudi Jarry. Un dramma emblematico di Witkiewicz è La madredel 1924 (rappresentato solo quarant'anni più tardi allo Stary Teatr di Cracovia con la regia di Jerzy Jarocki), che, se da un lato, si presenta come un'incalzante stralunata parodia dell'Ibsen più crepuscolare di Spettri, dall'altro, appare una sorta di ripresa degli incubi (ma riconcertati nella distinta volgarità di Jarry) della Sonata di spettri di Strindberg, di cui il polacco è stato considerato in definitiva "l'unico continuatore" del Novecento. L'andatura della Madre appare, così, programmaticamente contraddittoria, basata su una perenne discontinuità spazio-temporale: il protagonista, Leon, è un vampiro, soltanto occupato dalla speculazione su come salvare l'umanità, contrastandone l'istinto sociale. Leon però si fa mantenere dalla Madre, che, morfinomane e alcolizzata, freneticamente lavora a maglia. Costei muore, dopo avere appreso che il figlio fa la spia e il ruffiano e che la sua donna, Sofia, è una prostituta. Quindi, il padre di Leon, un bandito giustiziato in Brasile (che visitava già, da spettro, i suoi familiari), ritorna con la Madre ringiovanita, che fa a pezzi la precedente Madre, dimostrando che era solo un fantoccio, mentre il figlio, in un micidiale ingorgo temporale, deve confrontarsi con sé stesso, ma nella condizione di feto. Irritato dai fatui amanti di Sofia, Leon li accoglie a pistolettate, ma è a sua volta annientato da una macchina distruttrice introdotta da sei operai-automi, che rappresenta la convinzione (espressionista) dell'autore che il futuro meccanizzato di massa spazzerà via l'individuo (come ogni metafisica legata all'arte). "Il mondo del futuro di Witkiewicz - ha osservato Andrzej Wirth - (e quasi tutti i suoi drammi sono declinati al futuro) costituisce un logos di permanente servaggio". Interprete di un nichilismo grottesco o di un umanesimo senza speranze di umana redenzione, artefice di un linguaggio ispido, eterogeneo quanto fiorito di calembours, oltre che profeta dell'Assurdo teatrale, Witkiewicz, in patria, fu poco sostenuto dai direttori dei teatri, che (quando osavano) presentavano la sua drammaturgia per poche repliche, fuori stagione, a ora tarda e possibilmente traendola in una chiave realistica. La riscoperta (postuma) di Witkiewicz si verificò piuttosto tardi, negli anni del disgelo post-stalinista, ma il suo riflesso, sebbene per vie laterali, sarebbe stato potentissimo, a cominciare dal teatro di Tadeus Kantor, che aveva fondato, a metà degli anni Cinquanta, il secondo Cricot di Cracovia proprio con una messinscena di un suo testo, La piovra (1923). Kantor era convinto che non spettasse "alla letteratura sconfinare nei domini del teatro", ma che toccasse proprio al teatro "correre dei rischi - all'occorrenza avventurarsi fuori dalla sua sfera particolare. Sconfinare nei domini della letteratura", per offrirle "direzioni impreviste", separando radicalmente "illusione del testo e realtà della scena". In Witkiewicz, trovò un riferimento essenziale e continuò negli anni con un'imponente galleria di esperimenti legati alla sua drammaturgia, reinventando scenicamente Una tranquilla dimora di campagna (1961), Il pazzo e la monaca (1963), La gallinella acquatica (1967), I calzolai (1972), Le bellocce e i cercopitechi (1973). Questo fino alle soglie della Classe morta nel 1975, una "seduta drammatica" dove pure sussiste un germe testuale (Tumore cerebrale) di Witkiewicz, la cui presenza è addirittura scenicamente evocata. Se, per Kantor, "il testo scelto, trovato" costituiva, per via di avventurosa creazione "una casa perduta a cui si ritorna", quella dimora era senz'altro occupata da Witkiewicz.