Un teatro fra vita e meccanica Nel 1922, per ordine del governo, il Teatr RSFSR viene chiuso, ma Mejerchol'd fonda il Teatro dell'Attore e avvia la sua stagione più propriamente costruttivistica, che aveva remote radici nell'allestimento della Baracca dei saltimbanchi di Aleksandr A. Blok del 1906 e portava a esito compiuto gli esperimenti della "scuola-studio" del 1905-1907. Mejerchol'd approda infine alla consapevolezza che il teatro va considerato "l'estensione dell'attore (una forma cinetica tridimensionale) e non del regista, del drammaturgo o dell'artista". Secondo John E. Bowlt. "quest'enfasi sul movimento dell'attore, e non sul valore storico, emotivo e tematico della rappresentazione, ispirò una drastica trasformazione nell'intera concezione della scena e del costume". Nell'aprile del 1922, Mejerchol'd rende infatti possibile la matura rivoluzione scenogragia di un'artista come Liubov S. Popova, straordinaria concertatrice di "forma reale e spazio reale", nelle scene per la piccante farsa Le Cocu magnifique di Fernand Crommelynck. Aleksei A. Gvozdiov descrive la scenografia come un trampolino predisposto per l'attore [...] che fu giustamente paragonato agli attrezzi di un acrobata da circo. E come il trapezio dell'acrobata non possiede un valore estetico determinante, tanto che all'acrobata da circo non importa se esso è bello o no, purché vada bene per il suo lavoro, così anche la costruzione del Cocu magnifique era interamente destinata alla recitazione, senza pretendere a un qualsiasi valore decorativo. La frattura con le tradizioni dei teatri italo-francesi del Rinascimento si manifestava così nella maniera più decisa. Il palcoscenico [...] dove il telaio era stato portato per la prima rappresentazione appariva nudo e la parete grezza di mattoni sostituiva gli antichi fondali di tela dipinta. La costruzione, distribuita sulla piattaforma scenica, priva di ribalta e di sipario, constava di vari elementi "lavorativi": una scala, uno scivolo, piattaforme, due porte ruotanti intorno all'asse mediano e delle cancellate apribili, tutti elementi che, nell'insieme, formavano un unico impianto adattato in ogni parte alla recitazione dell'attore. Dietro al telaio giravano due ruote e pale di mulino, il cui moto si accelerava nei momenti culminanti dell'azione. Oltre a trasformare il palcoscenico "in un'autentica esperienza tridimensionale", Le Cocu magnifique dava una dimostrazione della "biomeccanica" dell'attore, "conscia applicazione delle idee costruttiviste al performer. Scrive ancora Gvozdiov: Sul nuovo telaio si esibiva per la prima volta anche il nuovo attore. Ormai senza il costume decorativo del vecchio teatro, con indosso la famosa tuta turchina da operaio, sia per gli uomini che per le donne. L'attore era privo di trucco, e recitava con tutto il corpo reso libero della biomeccanica. [...] Le scene di massa, che palesavano, in un'impetuosa esplosione di vitalità, il virtuosismo ginnastico dei giovani attori, animavano le piattaforme e le scale della costruzione con una turbinante fantasmagoria di mosse acrobatiche. "La legge fondamentale della biomeccanica - insegna Mejerchol'd - è molto semplice: tutto il corpo è partecipe di ogni nostro movimento". Il termine biomeccanica nasce sempre nel 1922, anche se le sperimentazioni si possono datare a partire dal 1913 e le suggestioni si ritrovano, una volta di più, in Jacques-Dalcroze e Fuchis, nel teatro orientale, nel taylorismo industriale, nella psicologia materialista di Pavlov e persino nei grandi attori italiani, che inducono Mejerchol'd a favorire, rispetti ai processi coscienti, un flusso di reazioni emotive che si impongono nella realizzazione plastica o esecuzione fisica di un compito scenico, oltre che nell'intenzione di fondo di chi agisce, il quale dovrà delineare una precisa partitura, costruita sulla memoria fisica. Il processo, che mira a coniugare organicità e ritmo, potrebbe sintetizzarsi nella formula: "N = A1 + A2, dove N è l'attore, organizzatore del proprio materiale corporale, che risulta la somma del cervello da cui parte il compito (A1) e del corpo che lo realizza (A2)". Maestro di ritmo e ginnastica, l'attore potrà quindi liberare le proprie emozioni in una sorta di danza, e - scartando la banale sincronia fra parola, gesto ed emozione - sovrappone il testo alla partitura ormai definita. Dalle annotazioni di un allievo di Mejerchol'd si possono riassumere i seguenti punti: La biomeccanica si fonda sul principio che se si muove la punta del naso, si muove tutto il corpo. [...] Con un tema fissato, recitare diventa molto più facile per il corpo. [...] Ogni movimento in biomeccanica è composto da tre momenti: a) intenzione; b) equilibrio; c) esecuzione [...]. Requisiti di base nella biomeccanica sono il coordinamento nello spazio e in scena, la capacità di trovare il proprio centro in mezzo a un gruppo in movimento, la capacità di adattamento, il calcolo e il preciso colpo d'occhio. [...] In ogni istante l'attore è compositore. [,,,] Tutti i movimenti dell'attore, persino i riflessi, devono essere sempre rigorosamente organizzati. [...] Occorre [...] osservare una severa economia di movimenti. [...] La biomeccanica non tollera niente di casuale [...] Primo principio della biomeccanica: il corpo è la macchina, l'attore il meccanico. La biomeccanice di Mejerchol'd avrà - tanto come modello di training quanto come istanza che viene a capovolgere, in una concreta formula antipsicologica, il tradizionale rapporto scenico emozione-azione - un'importanza fondamentale sia per lo stesso Stanislavskij che, nella fase finale della sua esistenza,sposterà la propria attenzione dall'approccio alla recitazione psicologica sulle "azioni fisiche" sia per tutti i maestri della Seconda Riforma. Stanislavskij "ed io - riconosceva Mejerchol'd - cerchiamo nell'arte le stese cose, solo che lui procede dall'interiore all'esteriore, io dall'esteriore all'interiore". D'altra parte, lo stesso Mejerchol'd era tutt'altro che insensibile alla condizione emotiva dell'attore, ma poneva anche un netto discrimine: Supponiamo che esistano due attori assolutamente uguali per il loro talento: uno sa dominare i movimenti e ne conosce tutti i segreti, l'altro no. Chi pronuncerà meglio le battute? Naturalmente quello che domina i movimenti. [...] Il cervello deve stare al primo posto, perché il cervello è il vero motore del compito. Il cervello è ciò che orienta, che determina la sequenza dei movimenti, l'accento e tutto il resto. Nel 1923, il regista si assesta nel Teatro Mejerchol'd (TIM), che sarà attivo fino al 1938. Qui firma il suo spettacolo forse più famoso: il Revisore di Gogol', il 9 dicembre 1926. Il pubblico del Revisore fronteggia una parete semicircolare di mogano nero con undici porte più quattro sul proscenio; per il resto, la scena è spoglia e su di essa, con il dischiudersi dei tre usci centrali, scivola un praticabile trapezoidale; attorno a un tavolo di forma ovale, si vedono tanti impiegati in uniforme, fra nuvole di fumo e lumi di candela. Quindi, l'annuncio: "sta per arrivare un revisore". Invece capiterà un giovane impiegato pietroburghese, Chlestakov, che - scambiato per il temibile censore - approfitterà in tutti i modi dell'equivoco, avendo occasione di verificare più di una magagna della marcia dirigenza della città in cui viene accolto. Questo l'avvio di uno spettacolo che sintetizza i principali umori della modernità: futurismo e costruttivismo insieme; una scenografia funzionale; la scansione in quadri mutuata dal cinema; l'attore marionetta e organico, nello stesso tempo (strepitoso lo spiritato E. Pavlovic Garin nel ruolo di Chlestakov); concertazione pantomimica con echi delle convenzioni della Commedia dell'Arte; un certo farsesco furore polemico-ideologico contro la corruzione (da cui si salva solo un giovane di origini campagnole); meccanismo scenico perfettamente regolato e imponente regia autoriale, tanto da far ritenere, per le varie interpolazioni, il copione più tratto da Gogol' che di Gogol' (pratica peraltro sempre più ricorrente nel teatro moderno): insomma, un "ultra Gogol'" o "un Gogol' riflesso dalla complicatissima superficie di quello specchio che è la nostra coscienza". L'azione - ricorda Lunacarskij - viene offerta agli spettatori come da entro un cesto. Si pone in rilievo una determinata superficie, su cui gli oggetti e gli uomini agiscono secondo leggi precise, prendendo le mosse dalla volontà dell'artista. Tale spazio, suggestivamente inondato da un profluvio di fasci di luce, si trasforma in una sorta di mazzo di fiori semoventi, una sorta di caleidoscopio soggetto a regole precisissime. Uomini e oggetti appaiono come stampe a colori che si succedono un una ininterrotta visione dinamica. Sono stati messi alla porta non soltanto gli scenari, ma anche gli accessori di scena, per far luogo a veri mobili, vera frutta, a prodotti gastronomici, come anche a veri uomini in veri abiti; a un insieme di uomini e di oggetti, presi direttamente a prestito dalla realtà [...] ma questi oggetti autentici vengono sollevati, nondimeno, fino a un notevole significato pittorico, grazie alla composizione e all'illuminazione. La piattaforma che viene spostata sul proscenio prima di ogni episodio è appena di 3,5 x 4,2 metri ed "esige - secondo Gvozdiov - dall'attore un altissimo livello tecnico, lo costringe ad essere conscio di ogni movimento, di ogni centimetro dello spazio a sua disposizione", senza considerare la necessità di "calcolare con estrema esattezza il tempo, per non correre il rischio di perdere il ritmo e incrinare la frase scenico-musicale". E' diventato un'icona del Novecento, in uno spettacolo, a sua volta, iconico, il finale, con l'inaspettato annuncio - sfumate tutte le imposture di Chestakov (qui, "sfrontato abbietto avventuriero") - del sopraggiungere del revisore vero: Mentre il gruppo di spaventose marionette (i burocrati) s'immobilizza una volta per sempre - scrive Lunacarskij -, lo sgomento di questi mostri all'idea di un'incombente ispezione radicale, il movimento che prima il animava, si manifestano in un'ottusa danza meccanizzata, nei sussulti della quale si snoda, attraverso la platea, la ghirlanda di tutta questa marmaglia umana. Dopo aver sezionato questo mondo in quiete e in movimento, Meyerhold, con la sua voce poderosa d'artista, dice "Voi siete morti e il vostro è un agitarsi di morti". Questa conclusione è stata definita da Gvozdiov "un possente accordo musicale", con le sue "bambole impietrite", in uno spettacolo composto come una suite sinfonica, [...] una polifonia scenica", che si regge "sui principi della composizione musicale", tanto che, nelle varie scene, veniva a crearsi un'alternanza di coro e solista. Questo famoso spettacolo, per il resto, è stato ampiamente studiato e fastosamente descritto da Angelo Maria Rispellino, cui rimandiamo. Al di là di Luncarskij e Gvozdiov, qui intendiamo coglierlo ancora attraverso un'angolazione molto particolare, quella di André Antoine che, in veste di critico dell'"Information", lo vede a Parigi nel giugno del 1930, al Theatre Montparnasse. Dopo il Theatre Libre, la carriera di Antoine si era sviluppata avventurosa all'Odéon, al Thèatre Antoine, al Théatre Pigalle, nel cinema fino al 1922. Fra successi e bancarotte - rispettato, ma inevitabilmente avvertito come un residuo del vecchio naturalismo -, il fondatore delle scene libere era infine approdato in un ineluttabile declino artistico, alla critica teatrale e cinematografica, che avrebbe esercitato con onestà e regolarità fino al 1939. Così, nel dicembre del 1922, Antoine, mentre si dimostrava refrattario alle seduzioni di Craig, che considerava "un regresso più che un progresso " dell'arte scenica, aveva, invece, seguito con interesse la tournée parigina di Stanislavskij, dichiarandosi ammirato per gli attori del Teatro d'Arte di Mosca capaci di "restare per tutta la serata compresi nel loro personaggio, completamente isolati dal pubblico". Otto anni dopo, il registro cambia con Mejerchol'd, che si era già fatto un nome a Parigi, avendo curato, nel 1913, la regia della Pisanelle di D'Annunzio, "magnifico spettacolo nel quale si ritrovava lo stupore dei Ballets Russes". Riconosciuto questo, Antoine sintetizza e banalizza però l'estetica di Mejerchol'd in un punto: "E' stato uno dei promotori della famosa teoria che il dramma in sé non è che una parte accessoria della rappresentazione, che va subordinata alle concezioni personali del regista". Del resto, anche nel Revisore, Mejerchol'd è intervenuto sul copione con degli inserti personali, realizzando in "rimaneggiamento di un testo classico". La "parte esteriore" dello spettacolo suscita comunque la stessa impressione sollevata a Parigi da Tairov, anche se il formalismo di Mejerchol'd appare più conseguente e rigoroso: Il dispositivo scenico comporta un vasto proscenio sul quale possono muoversi i personaggi inquadrati con pannelli passe-partout, che gli attori spostano loro stessi con i mobili durante gli intervalli nei quali la scena è calata in una relativa oscurità. Nell'insieme è qualcosa di sommario e di complicato poiché, anche per Il revisore, la cui ambientazione è semplicissima, permane l'ossessione della scena costruita, con scale, piattaforma in altezza, e il partito preso di far muovere senza posa gli attori su questi piani variabili, imponendo loro una frenesia e una trepidazione spossanti. Gli interpreti - riconosce Antoine - sono impeccabili: "Forse, più ancora che nel caso di Tairov, si rileva un assieme, una disciplina, magari troppo meccanica, ma pressoché impareggiabile". Insomma, non c'è nessuno che non sia in grado di "fissare plasticamente il proprio personaggio nella maniera più vivente e impressionante", per non parlare della cura dei costumi e dei trucchi. Più difficile apprezzarne la recitazione in sé, che appare "frammista di violenza e truculenza volute per un'opera polemica". Antoine avanza un'ultima perplessità, rivelatrice di quanto fosse ancora variabile, nelle differenti sensibilità nazionali, l'idea di messinscena: "Questo deliberato potere del regista e i diritti che pretende di arrogarsi al fine di sottoporre l'opera e il suo testo alle sue convenzioni personali non troverebbero probabilmente presso di noi una completa approvazione".